È scattata dalle prime luci dell’alba una imponente operazione degli uomini del comando provinciale della guardia di finanza di Reggio Calabria che ha portato a smantellare un’associazione di stampo mafioso composta da imprenditori affiliati alle più importanti cosche di ‘ndrangheta della piana di Gioia Tauro. L’operazione, denominata “porto franco” ha portato all’esecuzione di 13 ordinanze di custodia cautelare, al sequestro di 23 società e beni per un valore complessivo di circa 56 milioni di euro. Sono state inoltre svolte oltre 50 perquisizioni tra Calabria, Veneto e Lombardia.
I reati contestati sono associazione a delinquere di stampo mafioso, riciclaggio di proventi di illecita provenienza, trasferimento fraudolento di valori, contrabbando di gasolio e di merce contraffatta, frode fiscale, attraverso l’utilizzo ed emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, tutti aggravati dalle modalità “mafiose”.
Le indagini, coordinate dalla locale procura della repubblica, direzione distrettuale antimafia, hanno portato ad accertare l’esistenza di rilevanti infiltrazioni delle cosche di ‘ndrangheta “Pesce” e “Mole'” nell’indotto del terziario operante nell’area portuale della piana di Gioia Tauro, con particolare riferimento ai servizi connessi al traffico.
In particolare nel corso dell’inchiesta, diretta dalla Dda di Reggio Calabria, è emerso che gli esponenti delle cosche della ‘ndrangheta dei Pesce e dei Molè si erano infiltrati nei servizi connessi al traffico mercantile generato dal Porto di Gioia Tauro, con la conseguente indebita percezione di rilevanti profitti illeciti.
”La cosca Pesce si è infiltrata nel tessuto economico caratterizzato dai servizi connessi all’imponente operatività del porto di Gioia Tauro, che oltre a costituire una delle porte di ingresso in Europa rappresenta uno snodo cruciale dell’economia calabrese, ed esercita tuttora un soffocante controllo sulle attività economiche presenti nella zona portuale, dirette ad assicurare all’organizzazione, in ultima analisi, ingenti risorse finanziarie, mirando poi a ripulire i proventi dei reati consumati, grazie anche all’ausilio di soggetti estranei”. Così gli inquirenti della Dda di Reggio Calabria.