La Terza sezione penale del Tribunale di Catania ha assolto, perché il fatto non sussiste, gli otto imputati nel processo su presunti casi di inquinamento ambientale nella facoltà di Farmacia. Secondo l’accusa, erano stati provocati da versamenti nei lavandini dei laboratori di composti chimici utilizzati per sperimentazione. Il tribunale ha disposto anche il dissequestro delle aree interessate nella cosiddetta inchiesta sui ‘veleni’ della facoltà di Farmacia di Catania.
I capi di imputazione contestati nel processo andavano dal disastro ambientale all’omissione di atti d’ufficio. Il pm Giuseppe Sturiale nell’udienza del 10 gennaio scorso aveva chiesto condanne comprese tra 3 anni e due mesi e 4 anni di reclusione per gli otto imputati, che sono stati invece assolti con la formula “perché il fatto non sussiste”. La sentenza è stata accolta nel massimo silenzio. In aula erano presenti familiari di una specializzanda in Farmacia, Agata Annino, morta a 30 anni per un tumore.
“Speravamo che qualcosa potesse cambiare nella nostra società, ma questa sentenza ci fa capire che niente mai cambierà…”, ha detto Maria Lopes, insegnante in pensione, mamma della specializzanda morta “Ci voleva la volontà di fare di cambiare le cose”, osserva la donna provata che col marito, l’ingegnere Olindo Annino, si erano costituiti parte civile. “Ci speravo – sottolinea – perché ho insegnato, a ai miei ragazzi ho insegnato ad avere fiducia nelle Istituzioni. Adesso – visibilmente commossa – non ce l’ho più. E non vorrei dire queste cose…”.
Ai cronisti che le chiedono se si aspettava questa sentenza Maria Lopes spiega che “no, certamente no”, ma che “lo temevo, che si potesse arrivare a questo, ma speravo sempre che giudici fossero…”. Per la madre della specializzanda morta mentre studiava nella facoltà di Farmacia di Catania la sentenza “moralmente è ingiusta: come si fa a separare l’inquinamento dalla morte di questi ragazzi…”.
La pubblica accusa, aveva sollecitato, per il reato di disastro ambientale colposo, omissione in atti d’ufficio e falso ideologico in atto pubblico, 4 anni di reclusione per l’ex direttore amministrativo dell’Ateneo Antonino Domina e 3 anni ed otto mesi per il dirigente dell’ufficio tecnico Lucio Mannino. Una condanna a tre anni e due mesi per disastro ambientale colposo e omissione in atti d’ufficio per ciascuno degli altri sei imputati, Marcello Bellia, Francesco Paolo Bonina, Fulvio La Pergola, Giovanni Puglisi, Giuseppe Ronsisvalle e Franco Vittorio.
I fatti risalgono al 2007 e i reati contestati sono prescrivibili in sette anni. Per la seconda inchiesta per omicidio colposo e lesioni colpose, che era nata da uno stralcio dal fascicolo principale, la Procura ha chiesto al Gip l’archiviazione in attesa dell’esito del processo, che rappresenta il presupposto per potere sostenere un eventuale procedimento in aula. L’udienza camerale è stata fissata per il prossimo 27 novembre.
“Un’inchiesta che non sarebbe neppure dovuta trasformarsi in un procedimento in un’aula di Tribunale”, è la valutazione unanime degli imputati “Gli elementi all’origine delle indagini preliminari – osserva l’avvocato Enzo Mellia – non erano radicalmente idonei a sostenere l’accusa in giudizio”.
“Non c’erano neppure i presupposti – sottolinea l’avvocato Enrico Trantino – per procedere nell’inchiesta: lo stato di contaminazione è stato sempre escluso dal 2003 da tutti gli esperti che hanno svolto accertamenti”.
“Gli accertamenti disposti dalla Procura prima e dal Tribunale dopo – spiega l’avvocato Carmelo Galati – hanno dimostrato che non c’erano elementi scientifici per sostenere l’accusa. Dallo screening epidemiologico sono emersi valori dentro la norma e dalle analisi del suolo è apparso chiaro che la matrice del terreno non era inquinata”.