Entro il 2050, potremo dire addio alla pasta al dente: la causa è la crescente concentrazione di anidride carbonica, che nei prossimi 40 anni potrebbe crescere del 30-40%.
Ad affermarlo è uno studio del Centro di Ricerca per la genomica del Cra (Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura) di Fiorenzuola d’Arda, sul sistema Face (Free Air CO2 Enrichment – Arricchimento dell’aria aperta con CO2), in collaborazione con l’Istituto di Biometeorologia del Cnr di Firenze condotto tra il 2012 e il 2013: gli esperti spiegano che con gli attuali tassi d’inquinamento, i raccolti di grano sono più ricchi e il frumento contiene meno proteine, che sono un fattore determinante per la tenuta della pasta in cottura.
Per la conduzione della ricerca, gli esperti hanno verificato il comportamento di 12 varietà di frumento duro cresciute in un’atmosfera di 570 ppm di Co2, la concentrazione prevista per il 2050: “Ne risulta un aumento di biomassa vegetale e di produzione, ma con minor contenuto proteico – spiegano gli esperti – L’aumento di biomassa vegetale e di produzione è una conseguenza diretta dell’effetto fertilizzante della Co2″.
“In alcune varietà gli aumenti produttivi hanno raggiunto anche il 20% – si legge ancora nel testo della ricerca – Ma il contenuto proteico influenza la tenuta della cottura della pasta, salvo un lungimirante lavoro di miglioramento genetico che potrebbe realizzare nuove varietà capaci di fruttare al meglio l’aumento di C02 atmosferica, evitando o limitando le conseguenze negative sulla qualità del prodotto”.
La pasta italiana, fortunatamente, è al sicuro: il gruppo Barilla infatti, primo trasformatore di grano duro al mondo, ha sviluppato delle varietà con caratteristiche adeguate ai diversi climi lungo il Paese.