“Caro amico di matita, hai passato una buona estate? La mia avrebbe potuto essere meglio, ma anche peggio. Che per me è buono”. Un incipit simile oggi potrebbe essere scritto da un qualunque mio coetaneo – trentenni dunque – in una lettera sull’estate trascorsa a convincersi, in assenza di alternative, che chi si accontenta gode, invece queste parole sono del “buon vecchio Charlie Brown”, così come veniva chiamato esattamente 54 anni fa nella sua prima apparizione pubblica.
Sarà per questa sua straordinaria attualità e capacità di offrire parole ed espressioni a crisi spesso mute che ancora oggi il protagonista dei Peanuts è così amato.
In fondo l’archivio dei personaggi di Schulz, arricchitosi nel corso degli anni, sembra aver voluto soddisfare nel tempo tutte le esigenze dei nostri moti d’animo, per non lasciarne scoperto neanche uno: dalle mille sfumature di Snoopy al gelido Schroeder, passando per le speculazioni “lineari” di Woodstock, in cui prima o poi ci siamo ritrovati un po’ tutti.
La verità è che per quanto la tecnologia ci regali sempre nuovi prodigi e aggiunga dimensioni alle immagini moltiplicando la risoluzione cromatica, avremo sempre bisogno di ricorrere a una loro striscia di tanto in tanto, magari in bianco e nero, per ritrovare in quelle due dimensioni l’effetto taumaturgico a buon mercato di Lucy o solo una profondità che superi l’immagine.
Senza dubbio Schulz ci ha insegnato che non esistono difficoltà insormontabili anzi, come fa dire proprio a Lucy durante una delle sue brillanti sedute terapeutiche, “le avversità forgiano il carattere… senza di esse una persona non può maturare e affrontare le cose della vita” anche se poi sarà costretta a spiegare che le “cose della vita” sono solo “altre avversità”.
Insomma il segreto rivelato dal papà dei Peanuts è semplicemente non prendersi mai troppo sul serio. Five cents please.