“Qualcuno immagino si lamenterà perché il film sembra non lasciare molte speranze. Dov’è l’ottimismo? A me sembra che dedicare tante energie a questo lavoro”. Sono queste le parole di Sabina Guzzanti durante la presentazione in anteprima nazionale a Palermo del suo ultimo film ‘La Trattativa’. “In un momento storico così confuso – continua – fatto di rabbia e unanimismo, conformismo e frustrazione, sia un gesto di grande ottimismo. Quando mi guardo intorno e vedo che trattativa o non trattativa, tutto si muove secondo una logica di mafia, in questo clima, continuare a pensare che si possa arrivare a una verità storica condivisa, continuare a pensare che si possa parlare, che si possano ancora mettere al centro i temi oggettivamente centrali come questo, sia una dimostrazione di smisurato ottimismo. Forse un po’ troppo magari”.
L’attrice ci tiene a precisare che “non volevo raccontare la verità giudiziaria sul processo Stato-mafia ancora in corso, ma semplicemente raccontare la storia di quegli anni per mettere insieme tutti i pezzi e permettere ai cittadini di farsi un’idea sul percorso molto frammentato che ha avuto questo processo”.
“Nei quattro anni che sono stati necessari per la realizzazione di questo film – continua l’attrice – il processo sulla trattativa è stato nel tempo, popolarissimo, bistrattato, credibile, sputtanato, centrale, marginale, appassionante, indifferente. L’intento di questo lavoro è quello di affrontare il tema al di là delle vicende processuali, delle alterne vicende dei magistrati e della fortuna dei collaboratori di giustizia”.
Il film è autoprodotto e indipendente e Sabina Guzzanti è sia attrice che regista: “Nei quattro anni che sono stati necessari per la realizzazione di questo film – continua Guzzanti – il processo sulla trattativa è stato nel tempo, popolarissimo, bistrattato, credibile, sputtanato, centrale, marginale, appassionante, indifferente. L’intento di questo lavoro è quello di affrontare il tema al di là delle vicende processuali, delle alterne vicende dei magistrati e della fortuna dei collaboratori di giustizia”.
“La sfida più grande è stata quella di riuscire a trasformare un mucchio di libri, articoli, di verbali, ore e ore di registrazioni di sedute processuali, in una storia. – dice l’attrice spiegando le difficoltà riscontrate nella realizzazione del film – Quello che scoprivo mentre leggevo e studiavo, mi emozionava e mi sconvolgeva, e cosi mi veniva spontaneo raccontare ad amici e conoscenti gli episodi legati alla trattativa e trovando, ogni volta, mentre parlavo, collegamenti diversi, cancellando e aggiungendo episodi e personaggi. “Recitando” personaggi e situazioni per non annoiare gli interlocutori, riuscivo a capire sempre meglio le ragioni che potevano aver spinto qualcuno a comportarsi come si era comportato, e le istituzioni a reagire come avevano reagito”.
“Osservando le reazioni di chi mi ascoltava – aggiunge – scoprivo che i più trovavano questi racconti finalmente chiari, anche quando si trattava di fatti che erano stati a lungo al centro del dibattito pubblico. Ho pensato che la chiarezza che ottenevo fosse merito dell’umanizzazione del racconto e ho privilegiato questa strada”.
E sulla stesura della sceneggiatura spiega: “La svolta nella scrittura è arrivata quando mi sono imbattuta in un cortometraggio di Elio Petri: Tre ipotesi sulla morte di Giuseppe Pinelli. Il corto inizia con Gian Maria Volonté che dice: “siamo un gruppo di lavoratori dello spettacolo, ci proponiamo attraverso l’uso del nostro specifico (il comportamento degli attori, i registi, i tecnici), di ricostruire le tre versioni avallate dalla magistratura sul presunto suicidio dell’anarchico Pinelli”. Da lì è venuta l’idea di dichiarare la messa in scena degli attori, per dichiarare il gesto di impegno civile, per approfittare della libertà creativa che consente questa impostazione e per chiarire il punto di vista di chi narra. “Mi sembrava fondamentale esplicitare, che in questo film giuridico, né giornalistico”.