Il sogno di Roberta Lepri, autrice del libro “Io ero l’Africa” (Avagliano editore), è quello di “un mondo a rovescio”, un mondo in cui conti più l’essere che l’avere. Un mondo che è riuscita a rappresentare, a raccontare, nel suo romanzo. Un mondo che altro non è se non l’Africa di Angela, la protagonista, la vera protagonista, del suo racconto.
“Io ero l’Africa” è, in fin dei conti, una saga familiare. C’è la piccola Bianca, 9 anni, che con la sua curiosità di bambina interroga i nonni, Angela e Teo, sulla loro vita in Africa ai tempi della colonizzazione italiana, negli anni cinquanta. Storie di famiglia, raccontate a partire da un album di fotografie, che hanno una doppia faccia come le monete.
Nel Continente nero, Angela, che ha sempre sentito di vivere imbrigliata nel “dover essere”, riesce a liberarsi. Nella leggerezza degli abiti scopre la libertà di vivere secondo i suoi desideri, nel rispetto di tutti gli esseri umani che le stanno intorno. Dei neri, dei missionari, dei più poveri. Angela è il simbolo di una femminilità consapevole, caritatevole, coraggiosa.
Un cambiamento, una crescita, una presa di consapevolezza che non può che allontanarla dal marito Teo, pieno di pregiudizi, duro, violento, incapace di adattarsi a una terra così diversa dalla sua Umbria natia; così diverso nei suoi 40 anni dal vecchietto che Bianca ama come nonno.
Una storia che è una parabola: l’amore vero esiste soltanto quando due persone si conoscono e si rispettano fino in fondo. Tutto il resto è affetto, è abitudine, è convenzione.
Sottolineiamo dal libro: “Non potevano capirsi, non potevano neanche sfiorarsi. E i loro occhi non sarebbero mai riusciti a intercettarsi posandosi su un punto comune”.