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Mafia, “nuove prove” contro il generale Mori

Sono numerosi i temi introdotti come “nuove prove” dai pg Roberto Scarpinato e Luigi Patronaggio nel processo d’appello al generale Mario Mori e al colonnello Mauro Obinu per la mancata cattura di Bernardo Provenzano.

Le “nuove prove” indicate dall’accusa riguardano soprattutto presunte “ombre” sulla carriera di Mori desunte dal suo fascicolo personale negli archivi dell’Aise. Testi e documenti servirebbero a dimostrare che Mori e Obinu avrebbero tenuto condotte per perseguire “finalità occulte”, disattendere i “doveri istituzionali” e venire meno “all’obbligo di lealtà” nei confronti della magistratura. Questi giudizi sono riferiti a una lunga serie di episodi, dalla mancata cattura di Provenzano alle strategie eversive in cui si sarebbero saldati legami tra servizi deviati, mafia, massoneria e gruppi neofascisti.

MANCATA CATTURA DI PROVENZANO – I pg hanno chiesto di acquisire relazioni e documenti dai quali risulterebbe che Mori e Obinu avrebbero sviluppato “con notevolissimo ritardo” le informazioni del covo del boss a Mezzojuso (Palermo) date dal confidente Luigi Ilardo al colonnello Michele Riccio.

LATITANZA DI NITTO SANTAPAOLA – La stessa condotta depistante sarebbe stata attuata dagli uomini di Mori, all’epoca vice comandante del Ros, nell’aprile 1993. Il boss catanese era latitante a Terme Vigliatore, nel Messinese, ma un’azione improvvidamente spettacolare del Ros in una villa vicino al covo lo avrebbe fatto fuggire.

RAPPORTI CON P2 E GRUPPI EVERSIVI – I pg hanno riletto una parte della carriera di Mori nei servizi segreti sostenendo che faceva opera di reclutamento per la P2, “eseguiva intercettazioni abusive sui suoi superiori”, “stilava esposti anonimi” nella sede dell’agenzia Op di Mino Pecorelli, poi assassinato. Mori avrebbe tenuto altri rapporti “opachi” con il gruppo neofascista della “Rosa dei venti” negli anni Settanta.

FALLITO ATTENTATO DELL’ADDAURA – Altre ombre su Mori vengono rintracciate nella vicenda del fallito attentato del 1989 a Giovanni Falcone nella villa dell’Addaura. Mori avrebbe fatto circolare la tesi non di un attentato ma di un “tentativo intimidatorio”.

PROTOCOLLO “FARFALLA” – È il documento, di cui è stata chiesta l’acquisizione, con cui nel 2004 il Sisde, allora diretto da Mori, e il Dap guidato da Giovanni Tinebra stabilirono un accordo per l’uso riservato di informazioni sui detenuti. CITATI 12 PENTITI – Sono dodici i collaboratori di giustizia citati dai pg: Antonino Giuffré, Gaspare Spatuzza, Leonardo Messina, Giovanni Brusca, Gioacchino La Barbera, Francesco Di Carlo, Paolo Bellini, Fabio Tranchina, Stefano Lo Verso, Filippo Malvagna, Maurizio Avola e Antonino Galliano.

DOCUMENTI E TESTI – Numerosi sono i documenti, alcuni “classificati” come segreti, e i testi citati dai pg. Tra questi un “infiltrato”, Paolo Bellini, vari investigatori, l’ex giudice Giovanni Tamburino (“Rosa dei venti”) e alcune “figure di raccordo” tra servizi segreti e massoneria.

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