I carabinieri hanno eseguito sei ordinanze di custodia in carcere nei confronti della cosca mafiosa di Carini (Pa) arrestando anche il boss Angelo Pipitone, 71 anni.
Gli indagati sono accusati di mafia, estorsione aggravata, incendio aggravato, uccisione di animali, detenzione e porto illegale di arma da fuoco, trasferimento fraudolento di valori. Sono stati sequestrati società e immobili. I carabinieri hanno anche perquisito due studi legali a Palermo e Carini.
Sono stati arrestati su ordine del gip dopo le indagini della Dda palermitana, anche la moglie del boss, Franca Pellerito, 65 anni, la figlia Epifania, 34 anni e suo marito Benedetto Pipitone, 40 anni, il cugino del boss Francesco Marco Pipitone, 33 anni, e Angela Conigliaro 44 anni, che gli investigatori indicano come fedelissima del capomafia di Carini. L’indagine è cominciata la notte del capodanno 2013 dopo l’incendio doloso di una stalla nelle campagne di Carini e dell’uccisione, con colpi di arma da fuoco, di due equini e di un suino.
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Gli investigatori, dopo mesi di lavoro, interrogatori e intercettazioni, sarebbero riusciti ad individuare l’autore del gesto, Benedetto Pipitone, che avrebbe agito su mandato del suocero il boss Angelo che all’epoca era detenuto in carcere. L’intimidazione doveva servire a indurre il proprietario della stalla a vendere la propria quota alla famiglia mafiosa (già proprietaria al 50% dello stesso terreno sotto la copertura di una società di Carini). Per concorso nell’estorsione sono state arrestate anche la moglie e la figlia del capomafia.
Nel corso dell’inchiesta i carabinieri hanno ricostruito una fitta rete di prestanome, con cui l’anziano boss, pur trovandosi recluso dal gennaio 2007, riusciva a gestire e ad accrescere un immenso patrimonio occulto, fatto di ville, terreni, fabbricati industriali e società. Indagate nell’inchiesta sono anche persone “il cui apporto è risultato determinante per consentire a Pipitone di conservare il proprio illecito patrimonio accumulato nel corso di decenni di appartenenza a Cosa Nostra”, dicono gli investigatori.
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Nell’ambito dell’inchiesta che ha portato all’arresto nei confronti della cosca mafiosa di Carini (Pa) è indagata per favoreggiamento aggravato l’avvocato di Angelo Antonino Pipitone, Annalisa Vullo. Il legale è stato intercettato mentre definisce, secondo gli investigatori, i carabinieri di Carini, come degli “invasati”. Il riferimento è ad uno dei tanti accertamenti eseguiti dai militari sugli immobili della nota “Rotonda” dello svincolo autostradale di Carini, già sottoposti a sequestro nell’estate 2003, per violazione della normativa a tutela dell’ambiente. Una vicenda, questa, che costituì un duro colpo per la famiglia Pipitone, oltre che per l’aspetto prettamente economico, anche, sostengono i carabinieri, da un punto di vista dell’immagine.
Nel corso dell’operazione che ha portato agli arresti dei componenti della famiglia Pipitone i carabinieri hanno perquisito gli studi legali dell’avvocato a Carini e Palermo. Secondo l’accusa la notte del 26 maggio 2013 la Vullo avrebbe chiamato Benedetto Pipitone perché tornando da una cena elettorale aveva trovato la casa svaligiata. “Benedetto puoi venire a casa mia perché è successa una cosa brutta”. Secondo l’ordinanza dei magistrati “l’avvocato gli chiese di poterla aiutare a rientrare in possesso della refurtiva. Cosa che avvenne. Pipitone ritrovò chi commise il furto e la refurtiva: mancava solo un anello di brillanti che apparteneva alla madre del legale”.