I danni funzionali del morbo di Alzheimer potrebbero essere contrastati direttamente dal cervello umano, almeno nelle prime frasi: è quanto affermato dai ricercatori della University of California, che hanno appurato come l’organismo, al comparire della malattia, risponda con un’iperattività a livello cerebrale, quasi come se riconoscesse una carenza nel cervello.
Per la conduzione dello studio, pubblicato su Nature Neuroscience, 71 volontari, di cui 22 giovani e 49 adulti, tutti in buona salute, sono stati sottoposti a una risonanza magnetica funzionale (fMRI), volta al monitoraggio dell’attività cerebrale mentre gli venivano chiesto di memorizzare alcune immagini: tramite la scannerizzazione, è stato rilevato che 16 dei volontari presentavano dei depositi cerebrali di beta-amiloide, un particolare tipo di proteina, considerata una delle probabili cause dell’Alzheimer.
Depositandosi tra i neuroni infatti, la beta-amiloide come una specie di collante, danneggiandoli gradualmente. È stato dunque chiesto ai volontari di ricordare le immagini viste in precedenza, prima sintetizzandone il senso, poi rievocando i particolari: da ciò si è evinto che le capacità mnemoniche di entrambi i gruppi era rimasto identico, eccezion fatta per la maggiore attività cerebrale di coloro i quali presentavano accumuli di beta-amiloide.
“I due gruppi si sono comportati in modo simile durante le prove – ha spiegato William Jagust, conduttore dello studio – ma dalle scansioni è emerso un dato molto interessante in tutti i portatori di placche amiloidi: quanto più era difficoltoso il compito, più risultava incrementata l’attività cerebrale del soggetto. Era come se il loro cervello avesse trovato un modo per compensare la presenza delle placche”.