Voto 7,5 a Manglehorn – Un fabbro vive da solo con la sua gattina, della quale si prende incessantemente cura. La sua esistenza si sta spegnendo nel rimorso per una donna amata ma persa, cui continua a scrivere lettere d’amore, e per la sensazione angosciante di aver vissuto male. Solo l’amore per la nipotina riempie di tenerezza la sua vita, mentre il rapporto con il figlio è sempre teso. L’impossibilità di superare il lutto nei confronti della sua stessa vita lo rendono insensibile alle piccole gioie quotidiane e alle possibilità di cambiamento che ancora può offrirgli il futuro. È però una parabola ascendente, quella del secondo film (questo in concorso) in cui vediamo Al Pacino. Insieme a lui, David Gordon Green dirige Holly Hunter e Chris Messina, in un film che compensa la mancanza di particolare originalità della sceneggiatura con una regia sobria e attenta, e con attori di grande spessore.
Voto 7 a 3 Coeurs – Un bel film che mantiene alta la tradizione cinematografica francese. A cavallo tra un thriller (blando) e un melò (sicuramente più marcato) racconto di un incontro fortuito e dell’innamoramento tra Sylvie e Marc. I due si danno appuntamento a Parigi, ma Marc ha un malore e non riesce ad arrivare in tempo. Conoscerà in seguito, senza saperlo, la sorella di Sylvie, Sophie, e questo incontro cambierà la loro vita. A completare il quadro, la madre delle due donne, una Catherine Deneuve silenziosa, ma onnipresente e molto espressiva. Il film non spicca, soprattutto nella prima parte, per originalità, perché ricorda altre pellicole, da Un amore splendido a Prima dell’alba, ma il finale è intenso, il cast è lodevole e Benoit Jacquot confeziona, in definitiva, un bel film sentimentale. A novembre al cinema.
Voto 6 a Words of Gods – Film collettivo, che raccoglie nove cortometraggi di importanti registi di varia nazionalità, merita due distinte valutazioni: una estetico-compositiva (molto alta) e una che concerne la reale capacità di entrare in contatto con il pubblico (molto bassa). La sufficienza è quindi la media tra questi due aspetti. L’idea alla base è molto interessante: ogni corto rappresenta un credo religioso o una filosofia, dallo spiritualismo aborigeno al buddismo, e il suo diverso approccio nei confronti della vita, della morte e dell’uomo. Un paragone utile in questo caso viene dalla letteratura: molti grandi romanzieri non si trovano a loro agio sul passo breve, perché il racconto necessità di una maggiore capacità di sintetizzare e strutturare un messaggio compiuto in poche pagine. Lo stesso accade con i corti al cinema: in questo film risultano ben riuscite le parti girate da De La Iglesia (Cattolicesimo) e Gitai (Ebraismo), ma non si può dire lo stesso per le altre. Inoltre, l’eccessiva ricerca estetica, specialmente in un girato che per sua natura non ha una forte struttura narrativa, finisce per diventare solipsismo. Una contemplazione individuale di una bellezza formale che però non va mai incontro allo spettatore che, quindi, è costretto a restarvi estraneo.
Voto 6 a The Humbling – Al Pacino è sempre Al Pacino, e si sforza anche in questa pellicola di Barry Levinson di dare una grande prova d’artista. Ma in questo film brilla solo lui, e questo non basta. La storia Di Simon Axler, attore sul viale del tramonto in preda alla depressione e incapace di tornare in scena, si trascina in modo stanco, forse nel tentativo di restituire l’atmosfera pesante del romanzo L’umiliazione di Philip Roth da cui è tratto. Ma non sempre ciò che è bello sulla carta è adatto a generare le stesse emozioni sullo schermo, le cui leggi temporali e narrative sono ben diverse. Noioso.
Voto 3 al sistema di Priority del Festival: troviamo vergognosa e ormai obsoleta la scarsa considerazione riservata dall’organizzazione ai media press. Pensare che, nell’ordine di priorità di ingresso ai film, ma soprattutto alle conferenze stampa, i giornalisti online abbiano solo il terzo posto, seguendo i periodici, significa ignorare il lavoro, le scadenze e l’attività di continuo aggiornamento che ogni giorno affrontano le redazioni dei quotidiani online. Possiamo solo sperare che questa “gerarchia” retrò venga rivista in futuro, dal momento che la comunicazione sta cambiando giorno dopo giorno più rapidamente.