C’è molta tensione, a Gela, alla vigilia della giornata di sciopero generale del comprensorio, promosso da Cgil, Cisl e Uil, che vedrà tutte le categorie produttive, commercianti, studenti, partiti politici, sindaci con gonfaloni e delegazioni dei poli chimici siciliani, scendere in piazza contro il minacciato disimpegno dell’Eni, per scongiurare la chiusura della raffineria e in difesa dei 3.500 posti di lavoro, tra diretto e indotto, che rischiano di essere cancellati.
Un corteo, con Tir al seguito, partirà dal museo archeologico per raggiungere piazza Umberto, dove si terrà un comizio a cura dei sindacati confederali. Con i lavoratori si schiera apertamente la Chiesa, il cui vescovo della diocesi di Piazza Armerina-Gela, Rosario Gisana, sfilerà fianco a fianco con i vertici sindacali, rappresentati da Susanna Camusso, segretaria nazionale della Cgil, Maurizio Bernava, segretario regionale della Cisl, e Paolo Pirani, Segretario nazionale Uiltec-UIL.
La parola d’ordine è: “No ai tagli, Sì agli investimenti e alla crescita economica e produttiva”. Al governo nazionale i sindacati – che martedì hanno chiamato allo sciopero tutti i dipendenti del gruppo Eni – chiedono l’apertura di un tavolo di trattative (già convocato per il 30 luglio, al ministero dello sviluppo economico, con Regione e Comune) perché l’Eni mantenga gli impegni su Gela (700 milioni di euro di investimenti per la riqualificazione della raffineria) sottoscritti appena un anno fa, e perché renda noto il nuovo piano industriale che non può e non deve cancellare la presenza e il ruolo dell’azienda in Sicilia.
L’Eni, dal canto suo, pur confermando la crisi del settore della raffinazione del petrolio in Italia e in Europa, smentisce ipotesi di chiusura della raffineria di Gela, sostenendo, invece, di essere disponibile ad aumentare i propri investimenti – si parla di una cifra superiore ai 2 miliardi – su nuovi progetti di sviluppo eco-sostenibile attraverso la produzione di bio-carburanti e lo sfruttamento di nuovi giacimenti di metano e petrolio. Proposte, queste, prontamente bocciate da sindacati, settori tecnici e forze politiche, perché ritenute “insufficienti a garantire gli attuali livelli occupazionali”.
“Il rischio – dicono i segretari provinciali di Cgil, Cisl e Uil, dicono Giudice, Gallo e Mudaro – è l’ulteriore marginalità della Sicilia e la desertificazione della città di Gela, che vedrebbe irrimediabilmente compromessi i suoi commerci, le sua crescita e il suo benessere complessivo”. Il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, dice che “l’Eni deve riconsiderare le sue scelte strategiche ma il governo deve fare la sua parte perche’ il tema dell’energia e’ strategico per il futuro industriale del nostro paese”. In Italia, l’Eni vorrebbe fermare subito tre delle sue cinque raffinerie e riconsiderare i programmi di sviluppo di alcuni poli chimici tra cui Priolo.
Con i lavoratori di Gela, in lotta da 20 giorni a presidiare le vie di accesso alla raffineria, scenderanno in piazza anche delegazioni di Milazzo, Gagliano e Priolo, perché il timore è che dopo lo stabilimento gelese, con un effetto domino, cadano a uno a uno anche gli altri siti industriali. Per questo motivo, le segreterie sindacali dei settori dell’energia, della chimica, del tessile e delle gomme, hanno deciso per il 29 luglio lo sciopero nazionale di 8 ore da sostenere nel gruppo Eni (due ore negli altri gruppi) con manifestazione di protesta alle 15 davanti a Montecitorio.