Il pm Antonino Di Matteo non usa mezzi termini durante il suo intervento alla commemorazione per il 22esimo anniversario della strage di via D’Amelio a Palermo. “Non si può assistere in silenzio al tentativo di trasformare il pm in un burocrate sottoposto alla volontà del proprio capo, di quei dirigenti sempre più spesso nominati da un Csm che rischia di essere schiacciato e condizionato dalle pretese correntizie e da indicazioni sempre più stringenti del suo Presidente”. Il pm non fa un diretto riferimento a Napolitano ma il riferimento al capo dello Stato è chiaro, infatti il presidente della Repubblica è anche chiamato a presiedere il Consiglio superiore della Magistratura.
Nelle parole di Di Matteo poi la preoccupazione sulle riforme che a suo giudizio potrebbero indebolire il lavoro dei magistrati: ” Non si può ricordare Paolo Borsellino e assistere in silenzio ai tanti tentativi in atto (dalla riforma già attuata dell’Ordinamento Giudiziario a quelle in cantiere sulla responsabilità civile dei giudici, alla gerarchizzazione delle Procure anche attraverso sempre più numerose e discutibili prese di posizione del C.S.M.) finalizzati – spiega – a ridurre l’indipendenza della magistratura a vuota enunciazione formale con lo scopo di comprimere e annullare l’autonomia del singolo pubblico ministero”. Ma le parole di Nino Di Matteo sono forti anche per il premier Matteo Renzi che a suo dire sarebbe colpevole di discutere le riforme con “un condannato” (Silvio Berlusconi).
“Oggi un esponente politico, dopo essere stato definitivamente condannato per gravi reati, discute, con il Presidente del Consiglio in carica, di riformare la legge elettorale e quella Costituzione alla quale Paolo Borsellino – dice – aveva giurato quella fedeltà che ha osservato fino all’ultimo suo respiro”. “In una sentenza definitiva della Corte di Cassazione è accertato che un partito politico, divenuto forza di Governo nel 1994, ha poco prima annoverato tra i suoi ideatori e fondatori un soggetto da molto tempo colluso – sottolinea – con gli esponenti di vertice di Cosa Nostra e che da molti anni fungeva da intermediario consapevole dei loro rapporti con l’imprenditore milanese che di quel partito politico divenne, fin da subito, esponente apicale”.