“Non si può procedere al sequestro di un intero personal computer allorquando sia ricercato un singolo documento, a maggior ragione qualora si proceda nei confronti di un giornalista”. Lo scrive il tribunale del riesame di Ragusa, nel provvedimento con cui ha annullato il sequestro, ordinato dalla Procura del capoluogo ibleo, nei confronti di Antonio Di Raimondo, pubblicista e direttore del corrierediragusa.it, accusato di avere diffuso una notizia riguardante un finanziere indagato per rivelazione del segreto d’ufficio.
Il collegio presieduto da Vincenzo Saito accoglie le tesi dell’avvocato Salvatore Giurdanella e critica l’operato del procuratore Carmelo Petralia, richiamando l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che “ha rango costituzionale” e protegge il segreto professionale non solo del giornalista professionista, espressamente previsto dal codice di procedura penale, ma anche del pubblicista, al quale vengono “estese le tutele al diritto alla libertà di espressione codificato dalla Convenzione europea”.
Le garanzie per i giornalisti sono molto rigorose: “L’ingerenza sul diritto alla tutela delle fonti giornalistiche e delle informazioni atte a condurre alla loro identificazione – scrive il tribunale – per non vulnerare la Convenzione, deve essere prevista dalla legge” e sottoposta al vaglio di “un organo terzo e imparziale”. Citate anche più sentenze della Cassazione, in cui si nega la possibilità di “indiscriminati interventi invasivi nella sfera professionale del giornalista”.
Il tribunale ragusano ribadisce che il sequestro di materiale di lavoro nei confronti dei giornalisti è illegittimo, se non è preceduto dalla richiesta di esibizione dell’atto o degli atti di cui l’autorità giudiziaria ritiene di avere necessità. Solo se il giornalista rifiuta la consegna, opponendo il segreto professionale, e la magistratura ha compiuto altri accertamenti che hanno dato esito negativo, si può andare avanti riproponendo il sequestro.
In ogni caso, conclude il tribunale, “il sequestro dell’intero personal computer comporta una significativa ed illegittima interferenza sull’attività giornalistica dell’indagato, perché consente agli inquirenti di conoscere le fonti del cronista anche con riferimento a fatti estranei al procedimento”.
In una nota l’Ordine dei Giornalisti di Sicilia e l’associazione siciliana della Stampa esprimono piena soddisfazione per la decisione: come già avvenuto a Palermo nel caso del collega Riccardo Lo Verso, i giudici, aderendo alla giurisprudenza più avanzata della Corte europea dei diritti dell’uomo, cancellano gli evidenti abusi di alcune Procure, che calpestano il segreto professionale dei giornalisti, ricorrendo tra l’altro anche alla ormai superata differenza, in questo campo, tra pubblicisti e professionisti. I tribunali sono più avanti degli uffici inquirenti e riconoscono la funzione sociale e democratica della stampa, tutelata non solo dalla Costituzione ma anche dalla Convenzione europea per i diritti dell’uomo, che afferma che “la libertà di espressione comprende la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza di pubbliche autorità”.