Una vasta operazione, denominata “Ippocampo”, contro i vertici del clan Mazzei, noto come dei ‘Carcagnusi’, si è svolta questa mattina a Catania da parte della Direzione investigativa antimafia, in sinergia con i carabinieri.
Gli investigatori, coordinati dal procuratore capo Giovanni Salvi, hanno eseguito nove ordinanze di custodia cautelare in carcere, emesse dal Gip su richiesta dalla Direzione distrettuale antimafia, nei confronti del capo della cosca e di esponenti di spicco del gruppo mafioso. Il clan dei ‘carcagnusi’ risulta affiliato a Cosa nostra per via del battesimo del suo capo storico Santo Mazzei, ad opera del noto boss corleonese Leoluca Bagarella, giunto nel 1992 appositamente a Catania per farlo uomo d’onore.
Le persone colpite dai provvedimenti restrittivi in carcere sono:
- 1. MAZZEI Sebastiano, inteso Nuccio, cl.72, sorvegliato speciale di P.S., già latitante;
- 2. GALATI MASSARO Giovanni, cl.75;
- 3. INTRAVAIA Gioacchino, cl.76;
- 4. MAIOLINO Michele, cl.68;
- 5. RICCOMBENI Prospero, cl.71;
- 6. SGROI Antonino Daniele, cl.75;
- 7. STELLA Lucio, cl.75.
Altri due soggetti, ugualmente destinatari della misura cautelare personale, sono tuttora ricercati. Le persone arrestate devono rispondere, a vario titolo, dei reati di associazione di stampo mafioso, associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti (per i quali il clan è risultato essere in collegamento con organizzazioni criminali calabresi), trasferimento fraudolento di valori e intestazione fittizia di beni.
La Dia sta anche eseguendo il sequestro di società, esercizi commerciali, conti correnti e unità immobiliari. Secondo la ricostruzione dei magistrati, accolta dal Gip, che ha emesso la misura, ditte individuali e società cooperative operanti nel campo della logistica, carico e scarico merci, sono state intestate a prestanome. Il meccanismo, oltre a eludere investigazioni e divieti esistenti in materia di misure di prevenzione, permetteva alla cosca di disporre di beni e denaro e di mantenere l’egemonia territoriale. Il provento era reinvestito in attività illecite e redditizie come il traffico di stupefacenti con esponenti di spicco appartenenti ai clan della ‘ndrangheta operanti nel territorio della Piana di Gioia Tauro. Il sequestro ha interessato anche beni ed esercizi commerciali, come un bar, direttamente riconducibili agli indagati.