Scappavano dalla miseria e hanno incontrato la morte, nel più tragico dei modi. I 366 migranti spirati nel mare davanti a Lampedusa il 3 ottobre dello scorso anno non avranno mai giustizia. Ma la loro storia viene raccontata e adesso i presunti responsabili di quella tragedia sono stati individuati: 5 sono in stato di fermo, 4 ricercati, 5 indagati.
Le indagini della polizia hanno portato alla luce dettagli da storia dell’orrore. A capo dell’organizzazione c’erano il sudanese John Mahray e l’etiope Ermias. Il primo “raccoglieva” i migranti a Khartoum, in Sudan e li spediva a Tripoli, da Ermies.
Una volta in Libia, i migranti venivano letteralmente segregati in alcune case di Ermias, fino al giorno della partenza. Per i 366 del 3 ottobre però quello sarebbe stato l’ultimo viaggio.
In una delle conversazioni intercettate nelle indagini,uno degli aguzzini dice: “Inshallah”. Così ha voluto Dio: nessun rimorso insomma per quanto successo. Ma nelle intercettazioni c’è molto di più: la preoccupazione per il numero di morti, il tentativo di riorganizzare i viaggi. “Non più di 250 per volta, d’ora in poi”.
C’è anche rabbia, da parte di Ermies: “Pensavo fossero somali, che fosse un’altra organizzazione. Tante altre persone sono partite con altri organizzatori e sono cibo per pesci, nessuno ne parla”, dice “Se mi avessero chiesto aiuto avrei chiamato i soccorsi”.
L’interlocutore, John, è serafico: “Ormai è accaduto e non si può piangere per il latte versato. Tu non potevi fare nulla”. I due sono d’accordo: “La colpa è del destino e anche di alcuni, i più giovani, si sono fatti prendere dal panico e non anno aiutato”.
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