In media un pensionato italiano, dal 2008 a oggi, ha perso 1.419 euro di potere d’acquisto, oltre i 118 euro al mese. Il presidente di Confesercenti, Marco Venturi, in occasione dell’incontro estivo dei pensionati della Fipac-Confesercenti, dipinge in quadro sconfortante sulle capacità di acquisto dei pensionati italiani.
“Siamo l’unico paese dove i pensionati – dice Venturi – pagano, in proporzione, più tasse di quando erano attivi. Accade così che il pensionato subisca un maggior prelievo rispetto al dipendente e che tale extra imposta sia più forte tanto più la pensione è bassa: 72 euro per una pensione pari a tre volte il minimo e 131 rispetto alle pensioni d’importo inferiore. Nel resto d’Europa non è così; anzi, avviene il contrario. In tutti i Paesi, a parità di reddito, un pensionato paga in misura inferiore del dipendente”.
“I nostri pensionati sono in più tartassati d’Europa” dice Venturini nel confronto tra le pensioni dei diversi paesi europei. Se una pensione corrispondente ad una volta e mezza il trattamento minimo dell’Inps, un italiano paga il 9,17 per cento in tasse dell’assegno previdenziale, metre in Germania, Francia, Spagna e Regno Unito non si paga nulla. “l pensionato italiano è soggetto ad un prelievo doppio rispetto a quello spagnolo, triplo rispetto a quello inglese, quadruplo rispetto a quello francese e, infine, incommensurabilmente superiore a quello tedesco: si va dagli oltre 4 mila euro sopportati dal pensionato italiano ai 39 a carico del pensionato tedesco!”.
Anche il commercio non fa registrare dati positivi. Come segnala l’ufficio studi di Confcommercio, nei primi cinque mesi dell’anno il numero di attività chiuse nel settore commerciale è il doppio rispetto alle nuove.
Peggiora anche il saldo negativo per le attività di pernottamento e ristorazione, campi centrali del turismo, che passa da -7.612 a -7.752. In maggiore difficoltà si conferma il Mezzogiorno che perde 17mila imprese. Sul terziario invece, nonostante il saldo negativo tra nuove aperture e chiusure, sembra si possa registrare un leggero rallentamento dei fallimenti.
“Questi dati confermano, da un lato, il persistere di una fase di debolezza – sottolinea Confocommercio – del ciclo economico e l’assenza di concreti e significativi segnali di ripartenza; dall’altro, evidenziano come le imprese di questo comparto, nonostante le difficoltà legate ad una domanda interna stagnante, all’elevata pressione fiscale, a un limitato accesso al credito, ai mancati pagamenti dei debiti della P.A., riescono a contenere gli effetti del protrarsi della crisi”.