Italia del calcio, anno zero. La sconfitta con l’Uruguay ha fatto chiarezza, spazzando equivoci e dando quelle sentenze che molti italiani già conoscevano ma che magari non volevano pubblicamente ammettere.
Del calcio italiano, che per un ventennio è stato leader in Europa e abbastanza vincente nel Mondo, non è rimasto niente. Per restare dentro i confini della spedizione brasiliana possiamo tranquillamente annotare:
1) Balotelli, il calciatore più rappresentativo, non era nemmeno vagamente pronto per fare il leader della squadra, al massimo è campione del Mondo di gossip;
2) il gruppo dei 23, nel suo complesso, era abbastanza modesto ed è triste ammettere che i più anziani, cioè quelli teoricamente meno “affamati” – come ha detto Buffon – alla fine sono quelli che hanno deluso di meno;
3) il calcio italiano non esprime più giovani talenti perchè il campionato è mediocre, le società non hanno più risorse da investire nè capacità imprenditoriali per “inventare” qualcosa;
4) troppo spesso si fa ricorso agli stranieri (spesso sconosciuti) e si rinuncia alla cura dei vivai;
5) la Federazione del calcio segue un modello superato, non ha più nessun appeal a livello internazionale e va completamente rimodernata: le dimissioni di Abete sono un atto di onestà intellettuale, per quanto inevitabili.
L’elenco potrebbe essere ancora più lungo (a cominciare dalla preparazione fisica). Più in generale, possiamo dire che è il tramonto di una filosofia tipicamente italiana che altre volte ha dato i suoi frutti ma che stavolta ci ha portati nel baratro. Le malefatte di Suarez e dell‘arbitro Rodriguez sono soltanto l’appiglio di chi vuole nascondere la luna con un dito.
Un dato su tutti: le nazionali più vincenti dell’ultimo trentennio sono quelle che hanno trovato la propria forza all’interno del gruppo, sfidando le feroci critiche di stampa e tifosi.
Ricordate il 1982? Il girone di qualificazione fu inguardabile, più di quest’ultimo, eppure passammo il turno e poi ci trasformammo fino a diventare eroi. Nel 2006 nessuno avrebbe scommesso sull’Italia che però riuscì a esaltarsi nel mare di polemiche relative all’ennesimo scandalo di Calciopoli fino a costruirsi un cammino vincente. E comunque in quella squadra c’erano giocatori del calibro di Del Piero, Cannavaro, Totti, Nesta, Materazzi, oltre a Buffon, De Rossi e Pirlo con otto anni di meno.
Questa volta, invece, l’ambiente esterno – direi stranamente – non è stato nè feroce nè particolarmente critico. Probabilmente era chiaro a molti che saremmo stati spazzati via, non c’era nemmeno la presunzione di dire: noi siamo l’Italia. Anche la stampa è stata tenera, cullandosi stancamente in articoli triti e ritriti su tutto ciò che ruotava intorno a Balotelli. Noi l’abbiamo scritto in tempi non sospetti – nulla di geniale, per carità – sfidando le critiche dei soliti super ottimisti.
In quanto a filosofia calcistica, non possiamo nemmeno sottacere di quello che si è visto con l’Uruguay. Pur con tutte le attenuanti di cui abbiamo parlato a caldo, non si può giocare la gara decisiva senza nemmeno fare uno straccio di azione d’attacco. L’unico tiro sul taccuino è quello di Pirlo su punizione, la partita è stata di gran lunga la peggiore del Mondiale (colpa anche di un modesto Uruguay), il livello era quello di Iran- Nigeria. E, per la cronaca, in Sudafrica quattro anni fa era andata allo stesso modo, fuori nel girone eliminatorio.
Ed è forse giusto – anche guardando le classifiche internazionali – mettersi in testa che siamo lontani un miglio dalle posizioni di elite che abbiamo occupato negli anni ’90. Del resto, sarà un caso se l’espressione migliore del nostro calcio – la Juventus – fa fatica contro piccole realtà come Copenaghen e Galatasaray?
Dobbiamo ripartire con umiltà. Prandelli paga per tutti (e anche le sue dimissioni sono un gesto intellettualmente onesto), ha le sue colpe perchè – a mio avviso – ha sbagliato le convocazioni, ha dato troppa fiducia a Balotelli (e se n’è pentito, ieri era chiaro), ha cambiato più volte il modulo in corsa perché in realtà non era più convinto di nulla. Detto questo, però non è che ci fossero altre grandi alternative.
Chi saranno gli uomini del cambiamento? Probabilmente Demetrio Albertini (faccia pulita ma non proprio nuova) e Massimiliano Allegri (l’alternativa è Roberto Mancini ma si parla anche di Guidolin e Spalletti) ai quali non possiamo che fare gli auguri. Ma la loro fortuna dipende da quello che il calcio italiano – e cioè i dirigenti e le società – saprà fare per cambiare il corso delle cose. Siamo all’anno zero.