Allarme carne infetta in tutto il Paese. Sequestri per 4 milioni di euro, 65 indagati e sigilli a 4 aziende agricole. È questo il bilancio dell’operazione che dalle prime ore della mattina ha visto impegnati oltre 300 carabinieri dei Nas e dell’Arma territoriale, in esecuzione in 21 province di 12 regioni a 78 decreti di perquisizione e sequestro emessi dalla Procura della Repubblica di Perugia nei confronti di soggetti ritenuti responsabili di associazione a delinquere finalizzata alla commercializzazione.
I provvedimenti, eseguiti in Umbria, Toscana, Lazio, Campania, Puglia, Lombardia, Abruzzo, Marche, Basilicata, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte, sono stati emessi al termine di un’indagine che dal 2011 ha visto impegnati i carabinieri del Nas di Perugia coordinati dalla Procura umbra.
La prima fase dell’indagine ha portato alla scoperta di un traffico illecito di bovini colpiti da malattie infettive alcune trasmissibili all’uomo. Gli animali, nati in aziende dell’Italia meridionale e insulare, venivano avviati alla macellazione grazie all’intermediazione di due aziende, una perugina e una aretina, nonchè di allevatori e medici veterinari che riuscivano a far eludere i controlli sanitari facendo apparire sani i bovini.
Nella seconda fase delle indagini i militari hanno ricostruito la vasta organizzazione criminale in cui erano a vario titolo coinvolti 56 allevatori, 3 autotrasportatori e 6 medici veterinari delle Asl del centro-sud (Perugia, Arezzo, L’aquila, Foggia, Potenza e Matera) dediti alla falsificazione di passaporti e marche auricolari che permetteva di introdurre sul mercato bovini di razza ed età diverse da quelle certificate dai documenti.
Cento i capi bovini sequestrati oggi nel corso delle perquisizioni in 12 regioni dal Nas di Perugia nell’ambito dell’operazione “Lio” sulla commercializzazione della carne infetta o contraffatta. È stato reso noto nel corso della conferenza stampa tenuta a Perugia dal capitano Marco Vetrulli, che guida il Nucleo anti sofisticazione del capoluogo umbro. Sequestri, quelli odierni, che “non riguardano carni infette”, ha sottolineato Vetrulli, ma “certificazioni non idonee”.
Anche nel caso dei 500 capi sequestrati nel 2011, in cui furono riscontrate carni infette (ad esempio da tubercolosi o brucellosi o blue tongue), inoltre, il ritiro avvenne prima della commercializzazione e nessun capo è giunto al consumatore. E, in ogni caso, ha spiegato ancora Vetrulli, il pericolo di trasmissione umana, teoricamente possibile, viene comunque abbattuto dalla cottura della carne. Ciò che è emerso con grande evidenza, invece, è il giro di contraffazione delle carni, con animali meticci fatti risultare chianina. In molti casi, è stato riferito, gli animali provenivano da Sardegna, Puglia, Lazio e Basilicata, ma venivano certificati come nati in Toscana o Umbria.
Viene dunque scongiurato dalla cottura o dal congelamento della carne l’eventuale rischio contagio per l’uomo per i bovini malati al centro di un’indagine dei Nas. Dagli accertamenti è emerso che venivano vendute come pregiate, talvolta anche chianine, carni in realtà di animali di razze meticce. I militari – è stato spiegato – hanno ricostruito la filiera dei trasferimenti dei bovini da una regione all’altra. Dopo i primi 500 capi abbattuti sono ora in corso accertamenti sanitari su altri 100 animali rintracciati con la documentazione risultata irregolare. Le ulteriori verifiche avrebbero consentito di ricostruire i passaggi dei bovini da una regione all’altra – è stato detto – anche grazie alla complicità di alcuni veterinari. A discapito dell’ultimo acquirente che comprava gli animali credendoli di razze pregiate.