Il presidente siriano Bashar al Assad è stato rieletto per un terzo mandato di sette anni, ottenendo l’88,7% delle preferenze. Il risultato del voto contestato di lunedì scorso è stato proclamato dal presidente del parlamento, Mohammad al Lahham, precisando che gli altri due contendenti, Hassan al Nouri e Maher al Hajjer, hanno ottenuto rispettivamente il 4,3% e il 3,2% dei consensi.
Per l’opposizione si è trattato di una “farsa elettorale” mentre per i paesi occidentali le presidenziali sono da considerare una “vergogna”. La Nato ha già annunciato che non riconosce il risultato delle votazioni. Di fatto le elezioni sono state organizzate nelle sole zone controllate dal potere, in tutto il 40% del territorio sul quale vive il 60% della popolazione.
Intanto la coordinatrice Onu per disarmo chimico siriano, Sigrid Kaag, ha chiesto a Damasco di procedere all’evacuazione dei container di armi e prodotti tossici. Ad oggi il 7,2% dell’arsenale chimico siriano si trova ancora nel paese. Alcuni osservatori hanno evidenziato il rischio che “la finta vittoria” ottenuta da al Assad possa “incoraggiarlo ad intensificare la sua lotta contro l’insurrezione”.
In base ai dati ufficiali diffusi ieri sera alla televisione pubblica, sono andati alle urne 11,6 milioni di siriani su 15,8 milioni di aventi diritto. Il tasso di partecipazione è stato del 73,42%, contro il 95,86% al referendum del 2007. Colpi d’arma da fuoco esplosi per festeggiare la vittoria di al Assad hanno causato almeno tre morti a Damasco.
In visita sorpresa a Beirut, il segretario di Stato statunitense John Kerry ha invitato tutti gli alleati del presidente siriano – Russia, Iran e l’Hezbollah libanese – ad “adoperarsi per porre fine al conflitto”, definita “una dimostrazione grottesca di guerra moderna di uno Stato contro il suo stesso popolo”.