Nino Di Matteo non seguirà il processo Mori in appello anche per motivi legati alla sicurezza del magistrato. Il magistrato bersaglio continuo delle minacce della mafia, e in particolare di Totò Riina, è sottoposto al massimo livello di protezione e nei suoi confronti sono molte le iniziative di sostegno. A decidere che non sia opportuno che Di Matteo continui a lavorare sul processo al generale dell’Arma Mario Mori e al colonnello Mauro Obinu, imputati di favoreggiamento aggravato alla mafia, lo ha deciso il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato.
Il pg ha rigettato la richiesta di applicazione formulata dallo stesso Di Matteo nell’appello alla sentenza di primo grado che ha assolto i due ufficiali, ha deciso di rappresentare personalmente la pubblica accusa insieme al sostituto procuratore Luigi Patronaggio. Scarpinato ritiene che non sia “opportuno incrementare ulteriormente il coefficiente di rischio a cui è soggetto Di Matteo” ricordando che le misure di sicurezza alle quali il magistrato è sottoposto sono state aumentate proprio a seguito delle minacce subite nel corso dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, strettamente connessa al processo Mori.
Nel provvedimento Scarpinato, che sarà presente in aula fin dalla prima udienza fissata per il 9 giugno, spiega in dettaglio la sua decisione. Il verdetto – si dice nella motivazione – è stato appellato dal pm presso la Procura, cioè da Di Matteo, ma anche, autonomamente dalla Procura generale che il 17 aprile ha acquisito tutto il fascicolo per avere una piena conoscenza della vicenda. Scarpinato ricorda inoltre il carattere eccezionale della norma – l’articolo 570 del codice di procedura penale – che consente al pubblico ministero che ha concluso il processo di primo grado di essere applicato in appello.