Pronto il turn over del Pd alla Commissione Affari costituzionali del Senato: il senatore Corradino Mineo potrebbe tornare in panchina per lasciare il posto al “renziano” della prima ora Stefano Collina. La “colpa” dell’ex giornalista di Rainews24: il tentativo di boicottare la riforma del Senato sulla base del modello francese, così come proposto dalla luogotenente del premier Matteo Renzi, Maria Elena Boschi, ministro per le Riforme.
Corradino Mineo, infatti, farebbe parte di un gruppo di senatori del Partito democratico – “fronda”, “dissidenti”, come li ha definiti Renzi senza mai nominarli direttamente – che vorrebbe tornare a discutere un progetto di riforma della seconda camera che preveda l’elezione diretta dei senatori.
Insieme a Vannino Chiti (primo firmatario di un ddl contrario a quello dell’esecutivo e più vicino al modello del Movimento 5 Stelle) Walter Tocci e Massimo Mucchetti, Mineo fa parte di una minoranza interna al Partito democratico che è contrario al Senato delle Autonomie in discussione in Commissione in vista dell’approdo in Senato. E l’ex giornalista non ne ha fatto un mistero della sua opposizione.
“Che devo fare, mettermi a ridere? Ma come si fa – scrive su Facebook Mineo, scagliandosi contro il progetto di riforma presentato dal governo che appoggia come maggioranza – a prendere un mediano dalla nazionale francese se a noi serve un centro avanti? Nella Costituzione francese del 58 tutto gioca intorno all’elezione diretta del Presidente della Repubblica, dominus del governo, ma senza sporcarsi le mani, per quello c’è il primo ministro. Un sovrano costituzionale. Però, siccome elezione diretta e doppio turno suscitano, in Francia soprattutto, una dinamica giacobina e parigina, ecco che la Costituzione gollista pensò di offrire una tribuna alla pancia profonda e trascurata del paese, ai piccoli amministratori che non toccano palla nella politica nazionale ma fanno i conti con tanti Asterix locali”.
“Per non dare ragione a Chiti (e proteggere Berlusconi dalla fronda interna) si pensa di affidare le garanzie costituzionale a un parlamento per metà eletto con legge maggioritaria e partitocratica, per l’altra metà nominato dalla casta degli amministratori”, conclude il senatore del Pd.
Toni duri, secchi, sarcastici, dissacranti. Toni che non piaceranno al premier Renzi che soltanto poche ore prima aveva dichiarato: “Non ammetteremo fronde interne”. E così ecco pronto Stefano Collina alla porta della Commissione Affari Costituzionali di Palazzo Madama. Un cambio che permetterà di accelerare (e rendere meno accidentato) il percorso del disegno di legge su cui il presidente del Consiglio si è giocato l’intera sopravvivenza del Governo: “O si fanno le riforme o si torna a casa”.
Mineo sa che la “panchina” è vicina, deve ormai essere venuto a conoscenza della presenza del suo nome sulla lista di prescrizione del presidente. E attacca e rilancia: “Zitti o via? Ma che senso ha? Nell’Italia di oggi? Appelli tardo staliniani a coprire dubbi e mal di pancia molto più gravi anche se sotterranei? Disarmante! Invece di sollecitare un libero confronto delle idee e far bene le riforme del famoso crono programma, costoro prevaricano e poi pasticciano e alla fine mediano”.
E dopo il richiamo a Stalin, la similitudine con il Duce: “Il ‘credere, obbedire, combattere’ e intanto pensare alla propria carriera è umiliante e finirà col muovere le mucche come al tempo di Mussolini. Provvedimenti fatti male che cambiano la cornice e vendono la stessa vecchia crosta”.