Tra i candidati dei partiti alla presidenza della Commissione europea, Guy Verhofstadt è il meno euro-scettico. Al contrario, punta decisamente alla formazione in senso federale degli “Stati uniti d’Europa”. “E – dice – basta col metodo Barroso delle telefonate a Berlino e Parigi prima di prendere iniziative europee”. È “più integrazione europea”, non un ritorno indietro ai nazionalisti anti-euro (“uscirne sarebbe una catastrofe”), la sua migliore risposta possibile alla crisi.
Già nel 2004 era candidato alla successione di Romano Prodi come presidente della Commissione, ma fu stoppato dai ‘no’ di Blair e Berlusconi. Nel 2009 arriva al Parlamento europeo, dove diventa capogruppo dei liberal-democratici Alde. Famoso per la verve polemica ed il gusto della battuta, Verhofstadt combina ricette economiche liberali che lo avvicinano spesso al centro-destra e lotte per i diritti civili in cui è alleato del centro-sinistra.
In questa campagna il suo programma punta ad una Commissione che sia “vero governo” della Ue. Che imponga il rispetto delle regole sui conti pubblici e per la riduzione del debito che – cresciuto di circa il 40% tra 2008 e 2013 – considera “la vera causa della crisi”.