Capitani coraggiosi. Comandanti pronti a tutto per portare a termine la loro missione. Jill Abramson ha guidato il più importante quotidiano del mondo portando nella storia del giornale otto Premi Pulizer e aumentando in modo esponenziale il numero delle donne in ruoli chiave del giornale. Il primo direttore donna del New York Times è stata definita aggressiva, qualcuno l’ha anche definita autoritaria, da più parti in merito al suo stile di direzione del quotidiano.
Ma non è forse un pregio. Non sarà uno dei punti di forza di un giornale: un direttore trascinante e travolgente. Le vendite e i risultati ottenuti dicono di si. Ma il licenziamento in tronco di Jill Abramson sembra negare questa evidenza. Buttata giù dalla torre progettata da Renzo Piano Jill Abramson è riapparsa ironica e sorridente nel suo primo discorso. Lasciando così dietro di se le polemiche e le tante cose che si sono dette ha incontrato i laureandi di un’università americana per parlare con loro del futuro e delle sfide che riserva la vita.
“Cosa farò? Non lo so! – spiega l’ex direttrice del New York Times ai neolaureati della Wake Forest University, in North Carolina – Sono esattamente sulla vostra stessa barca. E come voi sono un po’ spaventata, ma anche eccitata”. Abramson ammette che “perdere il lavoro fa male”, ma parlando ai neolaureati nel suo commencement address, ha invitato i giovani a “mostrare di che pasta siete fatti”.
Ha parlato per undici minuti ed è stata sommersa dagli applausi dei 1900 studenti presenti. “Sono impressionato da fatto che i vostri risultati – spiega ironica – abbiano attratto così tanto l’attenzione dei media – ed ha aggiunto di credere che – l’unica vera notizia oggi sia il vostro diploma”.