Ogni volta che si parla del celibato dei preti il dibattito prende una piega un po’ “caciarona” e approssimativa. Con la lettera di 26 donne italiane “che vivono o vorrebbero vivere una relazione d’amore con un sacerdote” non è andata diversamente: c’è chi si è irrigidito e chi ha fatto proprio l’auspicio di Lucio Dalla nella canzone “L’anno che verrà” (“Anche i preti potranno sposarsi, ma soltanto a una certa età”). Più in generale, nella stampa e nell’immaginario collettivo si è dato fondo a quel repertorio un po’ pruriginoso che ha fatto la fortuna di una certa filmografia e di certe cronache di paese.
In pochissimi hanno tentanto di collocare e di affrontare correttamente la questione; in tanti invece hanno sperato, e sperano, di tirare Papa Francesco nel dibattito, un po’ salottiero, sui preti sposati. È probabile, ed auspicabile, che il papa gesuita non si faccia coinvolgere in un dibattito all’italiana che si muove sulla falsariga del celebre film con Marcello Mastroianni e Sofia Loren “La moglie del prete”.
La questione è ben più impegnativa, richiede conoscenze approfondite e una sensibilità straordinaria dato che non si tratta di mera disquisizione accademica o peggio di chiacchiere in libertà, ma ci sono in gioco la vita e i sentimenti delle persone e l’essenza stessa della Chiesa. Non ci può essere una corretta discussione sul celibato ecclesiastico senza una serena e approfondita riflessione sulla Chiesa e l’uomo d’oggi.
Se proprio volessimo ricorrere ad una icona cinematografica probabilmente dovremmo pensare al prete triste del film “Contestazione generale”. Nella pellicola di Luigi Zampa, uno straordinario Alberto Sordi presta il suo volto a don Giuseppe, parroco di un decadente borgo di provincia, travolto dalla crisi del ’68. Con la sua tonaca lisa e corta e il suo goffo saturno in testa, don Giuseppe si misura con l’eclissarsi delle sue certezze e la vittoria della solitudine: don Giuseppe è un monaco senza monachesimo, i suoi confratelli o si sono imborghesiti o vivono clandestinamente rapporti amorosi mentre il suo vescovo gli parla di statistiche e strategie senza autorità ed autorevolezza. La faccia e gli sguardi di Sordi sono la rappresentazione perfetta di un prete che capisce improvvisamente di essere solo a difendere qualcosa che non esiste più esattamente come la sua parrocchia e che, sfinito dalla tensione e dal paragone con un prete luterano, si risolve a chiedere al vescovo prima di gettarlo nel vortice della città moderna e poi di concedergli una compagna.
Un paradigma perfetto delle fibrillazioni che attraversano il corpo della Chiesa cattolica da secoli. In occidente l’abbandono del sacerdozio uxorato, la sostanziale demolizione del monachesimo e le mutazioni della chiesa hanno prodotto dei preti senza identità, deboli che non hanno retto il confronto con la modernità.
Ora qualcuno, al di là delle sofferenze dei casi singoli, pensa di risolvere tutto dando una compagna ai preti. Sfugge probabilmente la situazione altrettanto disastrosa dei matrimoni e soprattutto che il dramma di tanti preti non è quello di essere senza una donna, ma di essere uomini senza l’orizzonte della divinità. La compagnia di una donna ad un prete, come ad ogni uomo non basta, se non ha anche la compagnia di Dio, della chiesa, del creato.