Il controverso referendum separatista nelle regioni russofone di Donetsk e Lugansk in Ucraina si è chiuso con un vero e proprio plebiscito in favore della secessione: i filorussi sono riusciti a organizzare una votazione contro il governo di Kiev, definito “fascista” e il prodotto della rivoluzione “filo-occidentale”. Il risultato dunque non è sorprendente: il 95,98%% dei votanti ha preferito l’indipendenza e l’autoproclamata repubblica popolare di Donetsk.
L’affluenza alle urne è stata altissima, secondo i separatisti: domenica pomeriggio si è sfiorata quota 70%. Anche nel bacino metallurgico del Donbass che da solo vale il 20% del pil ucraino. Il voto si è svolto in un clima di calma: tremila seggi per circa 5 milioni di elettore A Mariupol e Sloviansk c’erano lunghe code per votare, in altri luoghi i seggi erano semideserti. In una città di Lugansk, Svatove, il sindaco Ievgheni Ribalko si è rifiutato di organizzare la consultazione nonostante alcuni gruppi armati lo minacciassero.
In realtà è impossibile verificare la reale affluenza e i risultati di questo voto, svoltosi con il coprifuoco e turbato da alcuni scontri. A Krasnoarmeisk sarebbe stato ucciso un civile. In più l’ombra delle irregolarità rende cupa tutta la situazione: secondo alcune fonti, sarebbero state contate schede già segnate prima dell’inizio della votazione.
Il voto segna un altro solco tra Ucraina e Russa ma per Kiev e l’Occidente è “illegale”: il capo della diplomazia europea Catherine Ashton e il presidente francese François Hollande hanno ribadito che il referendum è “nullo”, mentre gli Usa avevano già minacciato la Russia alla vigilia. “Una farsa criminale organizzata e finanziata dal Cremlino”, è stata la reazione durissima di Kiev. Ma il referendum c’è stato e come sempre da mesi ormai la tensione ha raggiunto picchi elevatissimi.