Tempi rapidi per l’estradizione di Marcello Dell’Utri dal Libano. E’ quello che auspica il ministro della Giustizia, Andrea Orlando. A Torino per il Salone del Libro, il Guardasigilli conferma di “aver avviato nei tempi più rapidi tutte le procedure previste”. E, nel giorno in cui l’ex senatore di Forza Italia si dichiara “prigioniero politico” dalla clinica di Beirut dove è agli arresti ospedalieri, il ministro si dice “assolutamente fiducioso” che “tutte le azioni intraprese” dal governo italiano “vadano a buon fine”.
Proprio ieri il ministero di Giustizia ha integrato la documentazione necessaria per l’estradizione di Dell’Utri, dopo la sentenza della Cassazione che ha reso definitiva la condanna a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa. “Abbiamo fatto tutto quanto previsto dai trattati, e anche di più – sottolinea Orlando -. Lo abbiamo fatto con particolare scrupolo. E non perché si tratta di Dell’Utri, ma perché c’è un atteggiamento sospetto, rispetto al quale facciamo tutto il possibile affinché la sentenza possa avere attuazione”.
I media libanesi titolano “Dell’Utri in Italia già la prossima settimana”, ma la sensazione è che la battaglia sarà ancora lunga e difficile. Il procuratore generale si prenderà tutto il tempo necessario per esaminare le carte e sciogliere i nodi del caso, a cominciare dal reato – concorso esterno in associazione mafiosa – che in Libano non esiste. C’è inoltre un problema con la prescrizione, che a Beirut è di dieci anni. Un particolare, quest’ultimo, sul quale i legali di Dell’Utri cercheranno di far leva.
“Ci troviamo di fronte a un Paese instabile – ammette il ministro Orlando – ma con una cultura giuridica consolidata di derivazione europea. Mi attengo a ciò che è scritto nei trattati e parto dall’attività svolta dalla procura generale di Palermo e dal ministero della Giustizia”.
“Ero un libero cittadino, avevo un regolare passaporto e potevo andare dove volevo”, sostiene Dell’Utri dalla sua stanza nella clinica Al-Hayat, la 410, dove lo assiste la figlia Margherita. “Quella di venerdì è stata una sentenza politica, una sentenza già scritta di un processo che mi ha perseguitato per oltre vent’anni”, insiste l’ex parlamentare, che in caso di estradizione vorrebbe “fare quello che fa Berlusconi: essere affidato ai servizi sociali”.