La finale mancata della Juventus può anche essere una questione di episodi. Fosse finita 1 a 0 avremmo celebrato la strategia di Conte e il carattere dei bianconeri. Invece passa il Benfica, specialista di finali e dunque squadra esperta, e a mio avviso senza rubare niente. Non potremo certo essere noi italiani a scandalizzarci per una gara decisamente difensiva e per una tattica ostruzionistica, due qualità che in passato ci hanno fatto grandi nel calcio.
Non è una questione di episodi, invece, la circostanza che il calcio italiano continua a precipitare. Nel ranking Uefa che tiene conto dei risultati ottenuti dalle squadre negli ultimi cinque anni siamo crollati al quinto posto, cosa che non accadeva dal 1984 e cioè da trent’anni. Siamo stati scavalcati anche dal Portogallo, proprio per effetto della sconfitta della Juventus col Benfica.
Quello era il calcio italiano che aveva da poco riaperto le frontiere del calcio proprio per sopperire alla povertà tecnica del campionato. Questo calcio forse ha la colpa opposta, quella di avere troppi stranieri in campo e poca attenzione ai vivai italiani.
La Juve – che è la più “italiana” delle squadre italiane – non c’entra. Ha perso una semifinale equilibrata che avrebbe potuto portarla in finale proprio a Torino (che beffa) e semmai ha il rammarico per essere uscita troppo presto dalla Champions League contro squadre non irresistibili. Il terzo scudetto consecutivo che arriverà domenica o lunedì potrà essere una consolazione ma niente di più.
Ma le altre? Il Milan è stato irrisorio, spazzato via alla prima difficoltà e in campionato quasi certamente fuori dalla zona Uefa. L’Inter è ancora in fase di ricostruzione, la Fiorentina gioca bene ma non ha spessore internazionale come il Napoli. Forse una piccola speranza, in prospettiva, la può dare la Roma di Garcia.
La verità è che il calcio italiano è diventato ridicolo, come certi aristocratici caduti in disgrazia che cercano di darsi un tono. Il livello tecnico del campionato è ormai di secondo livello, gli stadi italiani sono brutti e vuoti, le società non investono più sui settori giovanili, non esiste più programmazione tranne qualche raro esempio, non c’è nemmeno l’idea di quella cultura sportiva e dell’attaccamento alla maglia che ha già attecchito in tanti paesi europei.
Adesso la “tristezza” italiana si proietta sul mondiale del Brasile. E le cose, di conseguenza, non vanno molto meglio. Volete sapere la quota dell’Italia? A 22, secondo i bookmakers siamo meno favoriti perfino del Belgio, ci affidiamo a un “non fuoriclasse” come Balotelli (se questa è la prima scelta….) o a due “nonni” come Buffon e Pirlo sperando di inventare un nuovo miracolo italiano che però non arriverà perché non si improvvisa nulla.
Dovremo rimboccarci le maniche. Il calcio può anche essere il naturale riflesso di un Paese in ginocchio che fatica a rialzarsi ma è anche una delle nostre specialità, come la moda o la cucina. Se saremo intelligenti e umili potremo risalire le classifiche europee come successe alla fine degli anni 80 e per tutti gli anni 90 ma occorre invertire la rotta.
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