Quattro i pilastri irrinunciabili del premier Matteo Renzi sulla riforma del Senato, che – partiti volendo – dovrebbe essere incardinata mercoledì a Palazzo Madama: i senatori non votano la fiducia, non percepiscono indennità, non votano leggi di bilancio e non vengono eletti dai cittadini. Ed è proprio su questo ultimo paletto che il disegno di legge del governo rischia di naufragare, con amici e nemici che temono le ripercussioni elettorali di questa norma.
Il premier Matteo Renzi, impegnatissimo a blindare il suo disegno di legge dagli attacchi dei nemici (e degli amici) a suon di emendamenti, ha ricevuto questa mattina di buon ora il ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, la presidente della commissione Affari costituzionali e relatrice del ddl, Anna Finocchiaro, e il capogruppo Pd di palazzo Madama Luigi Zanda. L’ipotesi sul tavolo potrebbe anche essere quella di un rinvio della discussione per essere più sicuri delle fondamenta dell’eventuale accordo.
Il presidente del Consiglio e il suo ministro sono fiduciosi, il compromesso appare possibile. Anche grazie all’intervento del deus ex machina Giorgio Napolitano, il Capo dello Stato, che mentre convinceva Renzi ad abbandonare la via del prendere o lasciare, dall’altra è riuscito a convincere i senatori della necessità di una riforma istituzionale in questa direzione.
L’elezione indiretta appare intoccabile, ma la possibilità di un accordo si muove in due direzioni: meno membri indicati dal presidente della Repubblica e meno sindaci tra i punti-cardine del testo. Come ha detto il premier da Lucia Annunziata, a “In mezz’ora”, “i consiglieri individuano al proprio interno quale consigliere regionale va al Senato: questo può essere un punto di mediazione”. Insomma, una sorta di elezione indiretta.
Ma resta ancora, secondo quanto si apprende, da definire come si procederà concretamente. Se saranno i consiglieri regionali, una volta eletti, a indicare i senatori o se lo faranno i partiti. Il tutto a numeri invariati. Potranno essere ridotti a dieci o cinque i ventuno senatori di indicazione da parte del capo dello Stato o addirittura non essere previsti nella nuova composizione di palazzo Madama. E si pensa anche ad una maggiore proporzionalità nella rappresentanza delle regioni, a seconda delle dimensioni e della loro popolazione.
Ma, mentre Forza Italia e Nuovo Centrodestra si ammorbidiscono, rimane ancora in piedi il testo di Vannino Chiti, senatore del Pd, che ha proposto un disegno di legge di riforma del Senato che, ricalcando il programma del Movimento 5 Stelle – così da tirare in barca anche i loro voti – ripropone l’elezione diretta dei senatori. Per il premier il punto dunque adesso è: come riportare tra i ranghi i dissidenti del Partito democratico, che vogliono sfruttare la sponda dei pentastellati?
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