Domenica 27 aprile, piazza San Pietro: un papa dichiara santi altri due papi alla presenza di un papa emerito e davanti a una folla che acclama “i papi”. E’ questa la singolare immagine di un evento ecclesiale che essendo anche evento mediatico offre a credenti e non credenti un volto nuovo, ma non troppo, della Chiesa cattolica.
Chi si è attardato a discutere se Angelo Roncalli e Karol Wojtyla meritassero o meno la gloria degli altari è ingenuo o in errore perché le canonizzazioni non sono un giudizio storico bensì un fatto rigorosamente interno alla Chiesa cattolica e vanno lette e comprese all’interno di questo contesto. E’ invece necessario riflettere sul significato di queste due canonizzazioni nella vita della Chiesa.
Il dato fondamentale è che sono, ancora una volta, due papi a diventare santi. Negli ultimi 150 anni si è assistito ad un fenomeno particolare, unico, per la chiesa romana e cioè l’esaltazione di quasi tutti coloro che si sono seduti sulla cattedra di Pietro: Pio X è santo, a lui si aggiungono Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, Pio XII è venerabile mentre Giovanni Paolo I è servo di Dio. Ed è recentissima la notizia che Paolo VI sarà beatificato entro l’anno.
Prima del 1900 non era così. L’ultimo papa santo prima di Pio X fu Pio V, il papa della controriforma, che giunse sugli altari solo nel 1712. C’era prima la naturale consapevolezza che sul soglio pontificio si succedessero persone diversissime per estrazione, cultura e nazionalità, personaggi grandissimi o assolutamente mediocri, santi o perfino grandi peccatori.
Cosa è successo all’alba del XX secolo? Una maggiore effusione di Grazia? Non credo, siamo piuttosto semplicemente davanti al consolidamento del processo di identificazione tra chiesa e papa.
Qualcuno avrà sicuramente da obiettare rispetto a questa affermazione, si dirà che la storia dei papi non coincide con quella del cristianesimo e del cattolicesimo. Giusto, in teoria, ma mi chiedo: è possibile oggi pensare un cattolicesimo senza papa, o almeno con un papato diverso? Penso sia assolutamente difficile se non impossibile perché di fondo c’è una scelta, non so quanto consapevole, di scommettere sul papato come istituzione. Non si scommetterà però su una rinnovata comprensione del ruolo del successore di Pietro ma sulla forza e sul carisma di questa istituzione e dei suoi rappresentanti.
I quattro papi sul sagrato di san Pietro, due in vita e due in gloria, e la folla osannante sono il segno visibile di questa scelta.Una scelta che, al di là delle sincere intenzioni e della fede, è di autocelebrazione e autogiustificazione del papato.
In questa apoteosi rassicurante e appagante sarà difficile recuperare il senso profondo del grande – e non vile – rifiuto di Benedetto XVI. La rinuncia al pontificato di Ratzinger aveva aperto la possibilità di ripensare il ministero petrino nel quadro di una maggiore sinodalità, una sfida che Francesco al momento della sua elezione a vescovo di Roma aveva raccolto. Ora questa sfida sarà sicuramente più difficile.
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