La generazione di mezzo. Quella a metà fra la Prima e la Seconda Repubblica, quella che si ricorda ancora la tivù in bianco e nero, quella che ha vissuto gli ultimi scampoli dell’Italia di Don Camillo e Peppone.
I quarantenni di oggi sono gli ultimi testimoni della sacralità del Venerdì santo, i primi però ad infrangere quelle regole ferree di uno Stato che è sempre andato a bracciato con le regole del Catechismo. E’ vero, sono ricordi un po’ sbiaditi, ma sono spaccati di un vissuto che testimonia quanto è cambiato il nostro Paese.
Chi ha superato gli ‘anta’ certamente potrà rammentare quando, durante il Venerdì Santo, solo le radio libere (le prime che nascevano) osavano proporre musica pop: l’emittente di Stato e la banda ad onde medie suonava solo musica classica. Anche i programmi televisivi per ragazzi subivano un drastico ridimensionamento e i varietà con ballerine più o meno discinte sarebbero tornati solo dopo la Settimana Santa.
Lo scossone è arrivato negli anni ’80 con l’affermazione dell’effemmee dell’emittenza televisiva privata che avevano necessità di fare cassa anche nei giorni sacri della Passione. Così quanto gli adolescenti dell’epoca si ‘impupavano’ per uscire la sera del Venerdì Santo, mamme, ma soprattutto nonne, si raccoglievano ulteriormente in preghiera per espiare i ‘peccati’ di figli e nipoti.
La Pasqua è cambiata così come sono cambiati gli italiani, divenuti meno rispettosi delle regole imposte dalla Dottrina, ma in tempi di crisi, quando la sofferenza è condivisa per questioni materiali (e di assoluta necessità) probabilmente si riscoprono gli aspetti più intimi di questa celebrazione.
C’è un pizzico di sana e schietta nostalgia, però, quando si ripensa che anche ascoltare la musica ‘trasgressiva’ dei Pooh di Venerdì Santo a quei tempi poteva essere peccato…