L’appuntamento più importante dell’anno liturgico per i cattolici è la Pasqua, le cui celebrazioni entrano nel vivo proprio giovedì santo, la giornata tradizionalmente dedicata alla visita dei “sepolcri”, o “orti”, come vengono definiti in alcune province dell’Isola. Gli altari delle chiese vengono addobbati con fiori, candele e i “lavureddi”, ovvero cereali fatti germogliare in casa, ornati con nastri colorati e portati in dono dai fedeli in chiesa.
La visita ai sepolcri, allestiti in tutte le chiese, che rimangono aperte sino a notte fonda, ha inizio già nella prima serata dopo la messa “in Coena Domini”, in cui si ricorda l’ultima cena di Gesù con i suoi apostoli e l’istituzione dell’eucarestia.
La messa si conclude con la processione del santissimo sacramento all’altare della “reposizione”, che diventa poi “sepolcro”, per il riferimento alla custodia di un corpo senza vita (anche se secondo la liturgia, la sera del giovedì, Gesù non è ancora morto) o “orto” che simboleggia le ultime ore di vita trascorse dal figlio di Dio nell’orto degli ulivi prima dell’arresto.
L’origine del rito dei “sepolcri” è molto antica. Come spiega J.A. Jungmann, nella sua opera La liturgia della Chiesa: “All’inizio del secondo millennio… dal Venerdì Santo al mattino di Pasqua si vegliava presso l’Eucaristia deposta insieme alla croce in un “sepolcro”. In tal modo si intendeva onorare le 40 ore di permanenza del corpo di Gesù nel sepolcro”. Prosegue lo storico: “Già nel II secolo apprendiamo che venivano onorate le 40 ore, durante le quali il Signore giacque nel sepolcro, con un digiuno completo di altrettante ore (Eusebius, Hist. Eccl. V, 24). In seguito si sviluppò, soprattutto nei paesi nordici, l’uso di erigere nelle chiese il ‘Santo sepolcro’, e il Venerdì Santo (o anche già il Giovedì Santo, dopo la messa) aveva luogo la deposizione nel sepolcro“.
Secondo la tradizione infatti, sono 40 le ore in cui il corpo di Gesù sarebbe rimasto senza vita, ovvero dalle 3 del pomeriggio del Venerdì Santo alle 7 della domenica di Pasqua. La consuetudine vuole che si visitino le chiese in numero dispari, generalmente tra 5 e 7, da qui il detto della “visita alle sette chiese”.