L’Ispettore Superiore della Polizia di Stato Salvatore Nicastro in servizio a Palermo era stato accusato dal collaboratore di giustizia Innocenzo Lo Sicco di avere contribuito sistematicamente alle attività ed agli scopi criminali dell’associazione a delinquere denominata “Cosa Nostra” e per questo motivo era stato sottoposto ad indagini ad iniziativa della Procura della Repubblica di Palermo per il reato di cui agli articoli 110 e 416 bis c.p. (concorso in associazione di tipo mafioso).
Pertanto il Questore pro tempore di Palermo, considerata la gravità dei fatti, aveva chiesto che nei confronti dell’ispettore venisse disposta la sospensione cautelare dal servizio.
Anche il capo della Polizia, in considerazione degli evidenti risvolti per l’attività di servizio, aveva confermato la sospensione cautelare dal servizio dell’ispettore, con conseguente privazione della retribuzione e corresponsione in suo luogo dell’assegno alimentare.
Ma l’ispettore aveva proposto un ricorso davanti al Tar del Lazio, con il patrocinio dell’avvocato Girolamo Rubino, lamentando svariate forme di eccesso di potere; in particolare il difensore del ricorrente ha sostenuto che vi era dell’astio da parte del Lo Sicco nei confronti dell’ispettore a causa di alcuni danni cagionati alla sua impresa.
Non solo ma nel corso di alcuni lavori di ristrutturazione nel condominio di Nicastro l’impresa di costruzioni del collaboratori di giustizia aveva procurato danni all’abitazione dell’ispettore. Per questo erano nati forti dissidi dovuti all’astio che era nato tra i due.
Nicastro era stato accusato da Salvatore Grigoli proprietario tra l’altro di un autosalone il quale aveva chiuso l’attività per oltre un anno a seguito della denuncia dell’ispettore di polizia all’autorità giudiziaria per irregolarità riscontrata. Alla fine del processo penale era stato assolto.
Adesso anche i giudici amministrativi Già il Tar del Lazio aveva accolto la richiesta di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato; ed il Consiglio di Stato aveva respinto l’appello cautelare proposto dal Ministero dell’Interno confermando l’ordinanza di sospensione emessa nel primo grado di giudizio.
Nel giudizio di merito da ultimo il Tar del Lazio, Sezione 1 ter, ha accolto il ricorso patrocinato dall’avvocato Rubino, annullando il decreto del Capo della Polizia, ritenendo fondata la censura secondo cui al momento della sospensione dal servizio l’Ispettore Nicastro era assoggettato ad indagini preliminari e quindi non aveva assunto la qualità di imputato e pertanto aveva errato il capo della Polizia a disporre la sospensione cautelare dal servizio dell’Ispettore ritenendo la pendenza di un processo penale in realtà ancora non iniziato.