I mafiosi sono psicopatici? Sembra proprio di no. Intendiamoci i mafiosi sono violenti e spietati, feroci e cattivi, però non psicopatici. A dirlo è uno studio condotto da un gruppo di ricercatori italiani: Adriano Schimmenti, Chiara Caprì, Daniele La Barbera e Vincenzo Caretti. Lo studio è stato pubblicato nel febbraio 2014 dalla rivista Criminal Behaviour and Mental Health.
L’obbiettivo di questi ricercatori è stato quello di capire se ci fossero dei tratti psicopatici e di che entità nei mafiosi condannati per un reato penale, così attraverso la Psychopathy Checklist-Revised (PCL-R) sono stati esaminati trenta criminali condannati per mafia e trentanove condannati per delitti gravi, ma che non erano inseriti all’interno dell’onorata società e in nessun altra organizzazione criminale.
Alla rivista specializzata Discover, Schimmenti ha dichiarato che: “Sette mafiosi (23%) erano condannati per omicidio, diciassette (57%) erano condannati per altri reati violenti e il resto scontava la pena per reati quali il traffico di stupefacenti, l’estorsione, la truffa, lo sfruttamento sessuale e il sequestro di persona.”
Il risultato di questo test è stato incredibile, infatti i mafiosi hanno ottenuto i punteggi più bassi e quindi sono risultati più “sani” e meno psicopatici rispetto ai criminali “ordinari”. Anche le descrizioni che gli studiosi fanno dei soggetti mafiosi è interessante, perché questi rispetto agli altri detenuti: “erano meno manipolatori, meno machiavellici, meno narcisistici, meno emotivi. Inoltre, durante le interviste, spesso hanno espresso preoccupazione per i loro figli e le loro famiglie e non hanno mai smesso di tenersi in contatto con loro. Queste espressioni di attaccamento erano meno evidenti tra i detenuti non mafiosi.”
Sono due le osservazioni che si potrebbero esprimere ai ricercatori e cioè: lo studio è stato fatto in un posto, quale la prigione e perciò è possibile che le risposte ai test siano state alterate di per sé dalla situazione ambientale, perché potrebbe anche darsi che a piede libero i mafiosi avrebbero risposto diversamente. Inoltre trenta mafiosi non sono certo rappresentativi di tutta l’organizzazione criminale e perciò potrebbe anche essere che il campione di studio sia stato insufficiente a valutare la psicopatia della mafia in generale.
Dal canto loro, visti gli esiti e i numeri, gli studiosi rivelano nelle conclusioni dello studio una speranza: “I nostri risultati – hanno scritto – portano a sperare nella possibilità di risocializzazione dei mafiosi condannati, perché pur avendo mostrato significativi tratti antisociali, sono quelli che hanno mantenuto una capacità di connessione emotiva e quindi hanno anche una maggiore probabilità di impegnarsi nei programmi di formazione e di risocializzazione, rispetto agli altri criminali detenuti”.
Fabrizio Grasso