Arrivano le richieste di condanna per Angelo Galatolo e Franco Mineo. I pm Piero Padova e Dario Scaletta hanno chiesto la condanna a 16 anni per l’esponente della famiglia mafiosa dell’Acquasanta, accusato di associazione mafiosa, e otto anni e otto mesi per l’ex deputato regionale di Grande Sud, imputato davanti alla quinta sezione del Tribunale di Palermo di intestazione fittizia di beni aggravata, peculato, malversazione.
L’indagine, coordinata dal pm della Dda Piero Padova, nasce da una perquisizione fatta nello studio di un commercialista della famiglia Galatolo. Gli inquirenti trovarono un passaggio di proprietà che provava la compravendita di alcuni immobili in cui, sotto al nome dell’ acquirente, c’era scritto: “Compra Angelo G.”.
Le misure catastali hanno dimostrato che i locali erano di proprietà di Mineo, una circostanza che ha convinto la Dia che il parlamentare aveva in realtà acquistato per conto di Galatolo. Nelle scorse udienze i pm hanno contestato a Mineo anche un’ulteriore fattispecie di intestazione fittizia. Secondo la Procura, infatti, non solo Mineo sarebbe il proprietario solo sulla carta di alcuni immobili in realtà riconducibili a Galatolo, suo coimputato, ma avrebbe anche messo a frutto questa proprietà riscuotendo gli affitti e versandoli a Galatolo che è stato accusato durante il processo anche di associazione mafiosa.
Gli inquirenti, dopo le dichiarazioni “convergenti”, dei collaboratori di giustizia ascoltati in dibattimento e in particolare di Angelo Fontana, ritengono infatti che l’imputato, mentre i componenti della sua famiglia erano in carcere, si occupava di tenere la cassa del mandamento e di incassare i proventi delle estorsioni. Questi fatti, secondo il pm, sono avvalorati anche da alcune intercettazioni e prove documentali.
L’ipotesi di associazione mafiosa è rimasta in piedi, secondo i magistrati, anche se il pentito Fontana, come è emerso in dibattimento, si sarebbe inventato di avere preso parte al fallito attentato all’Addaura a Giovanni Falcone per rendere più credibile la sua collaborazione con la giustizia. Incastrato dagli esiti di indagini difensive, dell’avvocato Pino Di Peri, che hanno accertato che in quel periodo era detenuto negli Usa, il collaboratore ha dovuto ammettere davanti ai magistrati di Caltanissetta di avere detto il falso.