Dopo l’incendio dello scorso 15 marzo che ha interessato l’Isola 7 Nord alla raffineria Eni di Gela, l’azienda ha deciso di procedere alla “fermata programmata” dell’impianto per effettuare la manutenzione necessaria al ripristino della situazione ‘ex ante’ l’incendio, in modo da garantire, spiega l’azienda “la continuità di marcia e ricevere via mare prodotto semilavorato da parte di un’altra raffineria. Ma le avverse condizioni meteo di questi giorni non hanno permesso l’attracco della nave in banchina per scaricare il prodotto. Di qui la decisione di procedere alla fermata programmata della raffineria, che non interessa la centrale elettrica e gli impianti di utilities”.
In pratica, dopo il sequestro da parte della magistratura dell’impianto danneggiato, l’attività della raffineria sarebbe potuta andare avanti utilizzando il prodotto semilavorato da utilizzare per la parte attiva dell’impianto. La situazione che si è creata a Gela preoccupa i sindacati, che dopo l’incontro l’incontro con l’amministratore delegato dell’azienda, Bernardo Casa, hanno diffuso una nota in cui affermano che la fermata, “essendo legata agli accertamenti disposti dalla magistratura, potrebbe avere dimensioni temporali non prevedibili”. Il procuratore della Repubblica, Lucia Lotti, ha detto all’ANSA, senza mai citare né l’azienda né i sindacati, che “la procura quando interviene lo fa con impegno, serietà, tempestività e nel pieno rispetto delle leggi. Quel che fanno o dicono gli altri non ci interessa”.
Per Cgil, Cisl e Uil “il quadro che si delinea rischia di drammatizzare lo scenario di incertezza presente sul versante delle autorizzazioni propedeutiche al piano di investimenti per il rilancio del sito industriale”. Il riferimento è ai 700 milioni di euro messi in pericolo dai livelli di emissione dei gas inquinanti imposti dai protocolli ambientali (autorizzazione Aia) ai camini della Raffineria. L’Eni, che vorrebbe una via di mezzo tra i mille normal metri cubi al secondo concesse alle raffinerie e i 400 Nmc/s per le centrali, si è rivolto al Tar che si pronuncerà giovedì prossimo. Per alcune associazioni ambientaliste, la minacciata chiusura della raffineria e la conseguente ventilata cassa integrazione per il personale del diretto e dell’indotto sarebbero “elementi di pressione verso la magistratura”.
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