Era il 29 luglio 1983 quando un’autobomba esplose in via Pipitone Federico a Palermo davanti alla casa del giudice antimafia Rocco Chinnici, il “capo” di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Era la prima volta che il tritolo veniva usato per un delitto eccellente. Oltre al capo dell’Ufficio Istruzione morirono i due carabinieri della scorta e il portiere dello stabile dove il giudice abitava.
Un delitto eccellente, ma anche un esempio di giustizia “sonnolenta”, un intreccio di misteri e depistaggi. Uno su tutti: che fine hanno fatto alcuni fascicoli delle indagini sui mandanti e gli esecutori dell’omicidio? A trent’anni dalla morte del padre, Caterina, Elvira e Giovanni Chinnici, non nascondono più la rabbia: “Papà fu lasciato solo, offerto ai suoi carnefici”.
A tentare di fare luce su uno dei più misteriosi, e dimenticati, delitti di mafia i giornalisti – marito e moglie – Fabio De Pasquale ed Eleonora Iannelli nel libro che hanno scritto assieme “Così non si può vivere, Rocco Chinnici: la storia mai raccontata del giudice che sfidò gli intoccabili” (Castelvecchi Editore, Roma 2013).
Se ne è parlato nella Giornata nazionale per le vittime di mafia alla libreria Modusvivendi di Palermo, con gli autori, la giornalista Elvira Terranova e l’unico superstite di quella strage, l’autista dell’auto del giudice Chinnici, Giovanni Paparcuri.
Nel libro, oltre alle testimonianze di molti protagonisti di quella storia, si ripercorre anche l’odissea giudiziaria che ne seguì, con dieci processi in cinque città differenti, con condanne esemplari e clamorose assoluzioni. Infine, giustizia fatta, grazie alle dichiarazioni dei pentiti, ma solo parzialmente. “Troppe ancora le zone d’ombra”, dice l’autore.