Contaminare un testo di Shakespeare del ‘600 con le tinte forti del dialetto siciliano non è un lavoro da poco, eppure Luigi Lo Cascio ci è riuscito. Al teatro Biondo Stabile di Palermo è andato in scena un inedito Otello che ha lasciato perplessi e stupiti nello stesso tempo.
La scena si apre con una voce fuori campo che narra le gesta di un fazzoletto, il feticcio che, com’è noto, fa da nodo centrale all’intero dramma. Una favola oscura narrata da una voce cupa che parla in dialetto siciliano ci spiega che si tratta di un fazzoletto maledetto da un sortilegio, fra fattucchiere e promesse d’amore. Che si tratti di una storia dal tragico epilogo è risaputo, ma come se non bastasse il regista Luigi Lo Cascio decide di sovvertire la trama e cominciare dalla fine. Tuffandosi da subito a capofitto nel male e nell’odio il regista fa seguire allo spettatore le ragioni diaboliche e tutte umane di Jago, colui che trama, colui che invidia, colui che è portato a vagare negli anni solo dalla sua voglia di distruggere. Interpretato dallo stesso regista, lo troviamo sul punto di morte, poco prima di scontare la sua pena per l’intrigo che è riuscito a tessere come un infido ragno.
Flashback, e troviamo Otello, interpretato da uno straordinario Vincenzo Pirrotta. “È uno dei personaggi teatrali più complessi – afferma l’attore – Attraversa quasi totalmente la gamma degli stati d’animo umani. Ma sono felice di essermi cimentato in questa prova. Mi sono messo in gioco”. Il moro, non ha la pelle scura. Il moro è calvo e di un pallore lunare straziante. Recita in un dialetto sguaiato, accanito, senza freni. Ciò che lascia perplessi è che il protagonista mostra una brutalità spiccata sin dal principio.
Un’altra novità che Lo Cascio mette in scena è il “coro” tipico del teatro greco, che si incarna in un personaggio, il soldato, che tira le fila del racconto e ne commenta le evoluzioni passo passo.
In definitiva, dell’intero spettacolo la scelta più azzardata appare quella l’uso del dialetto siciliano: dissonante, estremo anch’esso come il dramma a cui dà voce. Il registra così spiega la sua decisione: “La lingua che parlano il mio Otello, Jago e il soldato (Desdemona è l’unico personaggio che parla in italiano nda) è una lingua nuova, inventata, che prende spunto da tutte le cadenze siciliane, non è il palermitano puro. Volevo – spiega il regista – che il dramma seguisse una metrica, quasi fosse in versi, e utilizzare l’italiano aulico non mi convinceva affatto. Inoltre il dialetto a volte è più concreto e poetico”.
In poco più di un’ora il pubblico attraversa due mondi distanti, ma non troppo lontani. L’Otello di Lo Cascio, messo in scena solo con 4 personaggi, ha tutto il tempo di fare un ritratto preciso delle emozioni del protagonista e di Jago, che seppur diversi, sono accomunati da una personalità tale da pensare di poter cambiare il mondo in base alle loro volontà. In questo senso Desdemona nella mente di Otello è un oggetto candido e puro che lui, con il suo vissuto e con la sua forza, vuole e riesce a plasmare a suo piacimento.
Il dramma si chiude con una citazione. Luigi Lo Cascio va a ripescare una storia molto cara alla tradizione dell’opera dei pupi siciliana: “Orlando furioso” di Ariosto. Dopo l’omicidio, ritroviamo un Otello pazzo “furioso” sulla luna, che insieme al soldato /Astolfo vuole recuperare le cose che ha perduto, o almeno quello che ne resta: l’ampolla con le lacrime e i sospiri della sua amata Desdemona, ma soprattutto quel fazzoletto maledetto che ha decretato la sua fine.