Ore 11.27 La votazione alla Camera dei Deputati sul testo di riforma elettorale si conclude: l’Italicum passa con 365 voti a favore. La nuova legge elettorale è stata approvata. Sostituisce per la Camera, il Porcellum dichiarato incostituzionale. 156 i voti contrari, 40 gli astenuti. I votanti erano 521 e la maggioranza richiesta 261. Il testo ora passa al Senato.
La seduta dell’Aula per il voto finale sull’Italicum era cominciata alle 9.30 con le dichiarazioni di voto dei gruppi parlamentari dopo due giorni di esame difficili che hanno acuito, se possibile, i dissensi interni al partito democratico. Ma anche nella coalizione. Una tensione che il capo dell’esecutivo e i suoi ministri sentono forte: questa mattina il ministro per le riforme Maria Elena Boschi, ha chiamato a raccolta tutti i ministri per chiederne la presenza in aula durante le dichiarazioni di voto. Che per l’esecutivo si stanno trasformando in un vero e proprio processo. Che viene direttamente dalla maggioranza.
I popolari per l’Italia, per voce del capogruppo, Lorenzo Dellai – già insoddisfatti per la composizione del governo che ha escluso l’ex ministro della Difesa, Mario Mauro – in dichiarazione di voto sta elencando tutti i motivi che, a giudizio del gruppo, hanno reso vano il ritiro del giudizio di incostituzionalità sul testo che i Popolari avevano posto e a cui hanno rinunciato. E – a sorpresa – annuncia voto contrario al testo mentre il capogruppo di Scelta Civica, Renato Balduzzi ha appena annunciato l’astensione del gruppo (e i parlamentari alla Camera sono 27). “Il nostro voto di astensione – ha detto Balduzzi in aula – vuole essere di speranza, ma anche di incoraggiamento alla rinegoziazione che speriamo si possa avere tra oggi e la discussione al Senato che speriamo non introduca ulteriori
elementi di problematicità come il Salva Lega”.
Un ‘colpo di scena’, quello dei Popolari per l’Italia, all’interno della maggioranza che comunque, in termini numerici, non cambierà l’esito della votazione: i 19 voti contrari provenienti dai Popolari per l’Italia – tranne dichiarazioni in dissenso di singoli deputati del gruppo se verranno – saranno certamente bilanciati dai voti che proverranno da Forza Italia.
Da verificare, però, anche all’interno di Forza Italia l’atteggiamento che terranno le deputate azzurre: le dichiarazioni in aula della siracusana Stefania Prestigiacomo che sulle quote rosa ha votato in dissenso rispetto alla posizione del proprio partito e sfidato apertamente la censura del capogruppo Renato Brunetta, potrebbero far presagire qualche colpo di mano interno. In dissenso al proprio partito, dichiara voto contrario l’ex sottosegretario alla Pubblica amministrazione, Micaela Biancofiore. La sua presa di posizione non riguarda la questione della parità di genere ma le riserve, non consentite, alle minoranze linguistiche del Friuli Venezia Giulia. “Il Senato deve cambiare questa legge altrimenti non indosserò più la spilletta del mio partito”.
Anche nel Pd le donne si fanno sentire. Roberta Agostini, prima firmataria degli emendamenti sulle parità di genere, dichiara a titolo personale in parziale difformità al proprio partito: “Come me altre colleghe del Pd non possiamo dirci soddisfate. Pensiamo che si tratti di un vulnus per le istituzioni democratiche e per la rappresentanza. Ci impegneremo per cambiare questa legge al Senato. Il voto che daremo sarà un atto di buona volontà”
Fra i Dem, la fronda animata soprattutto dopo il voto contrario di una maggioranza di un centinaio di democratici, contro gli emendamenti che puntavano a introdurre per legge regole certe sulla parità di genere, resta armata e in Senato, dove la maggioranza di Renzi è decisamente più risicata potrebbe mostrare una volontà ben più agguerrita di cambiare radicalmente il testo, riproponendo sia le norme sulle quote rosa che quelle sulle preferenze mandando all’aria l’impostazione con le liste corte ma bloccate. Le minacce ci sono. Certo è che alla Camera, il premier Renzi ha dimostrato senza ombra di dubbio che l’accordo con il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi – al di là delle schermaglie verbali durante il dibattito d’aula – ha tenuto molto bene.
Al Senato le cose potrebbero cambiare: anche Ncd, come SC, pur dichiarando voto favorevole per voce della capogruppo Nunzia De Girolamo chiede a Renzi una modifica sostanziale del testo nella Camera Alta del Parlamento. La battaglia di Ncd è sempre quella delle preferenze.
Singolare il siparietto che ha costretto la presidente Laura Boldrini, di Sel, a chiedere durante l’intervento del capogruppo di Sinistra Ecologia e Libertà, Gennaro Migliore (voto ovviamente contrario), ai deputati del gruppo di abbassare i testi della costituzione che i deputati comunisti stanno esponendo a mani alte.
Posizione diversa quella di Forza Italia che voterà sì ma al contrario di Ncd e Scelta Civica (componenti della maggioranza parlamentare) blinda il testo al Senato: “Non staremo sereni fino a quando non vedremo l’ ultimo sigillo sul testo”, ha detto il deputato Massimo Parisi seduto accanto al capogruppo Renato Brunetta. “Abbiamo acconsentito a norme” che non convincono in pieno e “accantonato questioni a noi care”, ha affermato ancora. “Non è la legge che avremmo voluto, ma la votiamo senza avere in cambio poltrone e senza aver chiesto niente se non il rispetto”. L’ esponente di Forza Italia ha respinto le critiche sull’assenza delle preferenze e sulle soglie di sbarramento. “Non è una limitazione della democrazia, perché le preferenze non ci sono anche in altri paesi europei. Le soglie – ha concluso – non cancellano la democrazia, perché vorrebbe dire che non c’é democrazia in Francia o in Germania”.
Il capogruppo del Pd, Roberto Speranza nelle sue dichiarazioni di voto (a favore ca va sans dire) è riuscito anche a parlare della parità di genere: “Sulla questione di genere c’è bisogno di fare chiarezza, è un problema di civiltà e per il Pd questa sarà la priorità assoluta nel nostro passaggio al Senato e non consentiremo che nessun accordo ci fermi. Con questo voto vogliamo dimostrare che facciamo sul serio”. Una dichiarazione che ufficializza evidentemente la posizione “morbida” del premier Renzi sul tema delle quote rosa anche, in apparenza, contro le fondamenta dell’accordo siglato con Silvio Berlusconi.
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