Un militare di vent’anni al poligono di tiro di via Nave, a Palermo: niente di sospetto, un’attività normale, passata inosservata fino alla tragedia. Il giovanissimo ha preso la pistola – si sta indagando se aveva portato l’arma d’ordinanza – e ha iniziato a sparare. Pochi minuti e con un gesto lesto e improvviso senza dire nulla, ha posato la canna sulla tempia e ha fatto fuoco.
Chi si trovava a fianco nella postazione ha iniziato ad urlare. Qualcuno si è sentito male. Pochi minuti e nel poligono di tiro è calato il silenzio. Nessuno sparo, nessuna parola. Solo il silenzio. Tutta la postazione sporca di sangue con i poliziotti e i sanitari del 118 impegnati ognuno per le proprie competenze. I primi a cercare di capire di cosa fosse successo, i secondi per tentare invano di salvare quel giovane militare che ha pensato in modo tragico di farla finita.
Il colpo che si è sparato è stato devastante. Per i medici non c’è stato nulla da fare. Qualcuno aveva parlato di una sparatoria. Dopo alcuni rilievi si è compreso quello che è successo. L’ennesima morte silenziosa di persone che vivono profondi disagi e che non riescono a trovare altra via d’uscita che farla finita. Forse parlare, sfogarsi con qualcuno in alcuni momenti della vita potrebbe fare uscire da quel tunnel tremendo che porta a gesti estremi.
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