L’ex capo della Squadra mobile di Vibo Valentia, Maurizio Lento, l’ex vice dello stesso ufficio Emanuele Rodonò e l’avvocato Antonio Carmelo Galati, difensore dei Mancuso di Limbadi, sono stati arrestati dai carabinieri del Ros e dalla Squadra mobile di Catanzaro. I funzionari sono accusati di concorso esterno e il legale di associazione mafiosa.
Lento, attualmente, prestava servizio alla Questura di Messina, mentre Rodonò era al reparto mobile di Roma. I due funzionari sono stati arrestati dalla squadra mobile di Catanzaro. I carabinieri del Ros hanno invece fermato l’avvocato Galati, legale di alcuni degli esponenti della cosca Mancuso di Limbadi, il quale avrebbero fornito informazioni su indagini in corso.
Inoltre c’è anche un terzo poliziotto coinvolto nell’inchiesta. L’agente, in servizio nella Questura nella Dda di Catanzaro ha chiesto al Gip la sospensione dall’esercizio di pubblico ufficiale. Il poliziotto è accusato di rivelazione di segreti d’ufficio e sarà sentito domani mattina dal giudice per le indagini preliminari, Abigail Mellace, che dovrà decidere sulla richiesta di interdizione avanzata dalla Dda di Catanzaro.
Il poliziotto, secondo l’accusa, tra il 2009 ed il 24 febbraio del 2011 avrebbe riferito all’imprenditore ed ex consigliere provinciale di Vibo, Aurelio Maccarone, zio di Antonio Maccarone, arrestato nel marzo dello scorso anno per associazione mafiosa insieme al genero, Pantaleone Mancuso, detto “Vetrinetta”, nell’ambito dell’operazione antimafia “Black money”, dell’esistenza di un’informativa di reato nei confronti di un componente della famiglia Maccarone redatta dal Gico della Guardia di finanza di Milano.
Le condotte dei funzionari di polizia Maurizio Lento ed Emanuele Rodonò, secondo il gip distrettuale di Catanzaro, Abigail Mellace, sono state “allarmanti, anzi devastanti. Grava in modo indiscutibile sui due funzionari l’accusa di avere abdicato all’esercizio delle proprie funzioni in un territorio ad altissima densità criminale, lasciando l’inerme cittadinanza ancora più esposta al potere di assoggettamento delle potenti e pericolose cosche”.
Il potente clan Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia) aveva trovato degli alleati perfetti nell’ex capo della squadra mobile di Vibo valentia e nel suo vice. Informative rimaste nei casseti, controlli evitati per anni, indagini mai portate avanti, relazioni di servizio mai trasmesse alla Procura, aiuti, sostegni e molto altro. Quegli stessi vertici delle forze di polizia che avrebbero dovuto contrastare la criminalità organizzata e che, invece, avrebbero organizzato tutto in combutta. Grazie ad una figura chiave: l’avvocato Antonio Carmelo Galati. Il legale della famiglia Mancuso, oltre ad essere consulente negli affari dello stesso clan, era capace di interagire con pezzi importanti dello Stato.
I dettagli dell’operazione sono stati resi noti nel corso di una conferenza stampa che si è svolta a Catanzaro, negli uffici della Dda, alla presenza del procuratore, Vincenzo Antonio Lombardo, e dell’aggiunto, Giuseppe Borrelli. È stato quest’ultimo a ripercorrere le tappe salienti dell’inchiesta, partendo dall’operazione “Purgatorio” con cui il Ros dei Carabinieri aveva gettato le basi per i possibili sospetti su vertici dello Stato. Da li’ è stato un susseguirsi di tasselli, messi insieme grazie soprattutto ad intercettazioni, che hanno permesso di confermare i rapporti tra i tre personaggi arrestati e, soprattutto, i favori di cui la cosca Mancuso avrebbe goduto.
Tra cene, bottiglie di champagne e quant’altro, ai Mancuso venivano trasferite informazioni su indagini in corso, le linee di inchiesta dettate dalla Procura, le strategie decise e quant’altro potesse tornare comodo.