Il vertice si è tenuto nelle stanze del ministero di Graziano Delrio, in via della Stamperia a Roma. Un vertice a cui è mancato il premier incaricato Matteo Renzi che è pure segretario nazionale del Pd, il partito di maggioranza della coalizione che dovrebbe sostenere l’esecutivo.
E non tutto sembra scorrere liscio nonostante le dichiarazioni ottimistiche di Renzi uscendo da Largo del Nazareno: “Un paio di ore e chiudiamo tutto”, dice il premier incaricato prima di scappare via dalla ressa di giornalisti.
A rendere tesi i rapporti fra i partiti della coalizione sarebbero le condizioni poste da Ncd che continua a tirare la corda rispetto alla presenza del leader Angelino Alfano nella compagine governativa che invece Renzi non intende assecondare. Anzi: l’obiettivo del segretario del Pd è quello di “delettizzare” l’esecutivo di cui dovrebbe ufficializzare i componenti entro la giornata di sabato.
Certamente Renzi non vuole reiterare, anche mediaticamente, l’immagine di un governo a doppia guida da dividere con Nuovo centrodestra rafforzato in questa scelta dal consenso che il cavaliere Berlusconi gli ha offerto neanche troppo sottobanco. Perché se è vero che Forza Italia si mantiene all’opposizione una stampella di 11 voti al Senato gliel’ha offerta in maniera plateale con le dichiarazioni, post consultazioni, del presidente del gruppo parlamentare del Gal, Mario Ferrara che ha assicurato il voto di fiducia della sua squadra. E Grandi autonomie e libertà è considerata da tutti una costola di Forza Italia.
Il muro contro muro fra Renzi e Alfano, quindi, potrebbe inquadrarsi esattamente in questa guerra sotterranea fra l’ex delfino di Berlusconi e il Cavaliere intenzionato a tagliarli le gambe. Almeno così sembra. Certo è che dopo il vertice di maggioranza che ha fatto emergere numerosi distinguo fra le posizioni dei partiti che devono sostenere Renzi, il lavoro di mediazione fra il fedelissimo di Renzi, Graziano Delrio è più che mai attivo.
Delrio sarebbe a colloquio con il leader di Ncd, Angelino Alfano – ma la notizia non è confermata – per convincerlo della necessità di abbandonare la poltrona del Viminale – segno di discontinuità secondo Renzi – per approdare, magari, alla Farnesina e far fuori la quotatissima Emma Bonino.
Agli Interni andrebbe invece l’ex ministro dei rapporti col Parlamento Dario Franceschini che sarebbe sostituito o da Maria Elena Boschi o da Roberto Giachetti, altro deputato Pd, noto per il suo lungo sciopero della fame nella battaglia per la riforma elettorale. Intanto via twitter tiene la posizione un altro esponente di vertice di Ncd. E’ Renato Schifani che ‘cinguetta’ in rete: “Senza accordo sul programma non parliamo di Ministri”.
Ma qualcosa nelle trattative che si tengono da giorni fra il Pd e i partiti della maggioranza, senza mai farlo alla luce del sole, deve essere accaduto nel pomeriggio di ieri: quando ormai la lista dei ministri sembrava essere stata definita, a smuovere le pedine pare sia stato Luca Cordero di Montezemolo in persona.
Il presidente della Ferrari che ha rinunciato al ministero del Brand Italy, pare abbia preteso un posto per il suo uomo: si tratta del viceministro allo sviluppo economico, Carlo Calenda a cui dovrebbe essere affidato il ruolo di guida del rinascente ministero del Commercio estero che nascerebbe dallo scoloramento di deleghe dallo Sviluppo economico e dagli Esteri. La discesa in campo di Calenda sembra archiviare del tutto la possibilità di affidare il ministero della Pubblica istruzione alla segretaria di Scelta Civica, Stefania Giannini e di fatto rimette in discussione tutte le caselle assegnate per una redistribuzione di deleghe che tenga conto delle antiche regole del manuale Cencelli. Una circostanza che comunque Renzi accoglierebbe con favore visto che all’Istruzione, ministero “notoriamente” di sinistra, vorrebbe un suo fedele.
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