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Sequestro di beni per 250 milioni al clan Galatolo /I NOMI | Frutto delle attività legate al mercato ortofrutticolo di Palermo /VD

Nelle prime ore di questa mattina, gli agenti della Direzione investigativa antimafia di Palermo hanno concluso una imponente operazione di sequestro, in esecuzione di un decreto emesso dalla Sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, su proposta del Direttore della Dia Arturo De Felice, che ha interessato venti immobili (terreni, appartamenti e box), tredici aziende, quattordici veicoli e numerosi rapporti finanziari per un valore di circa 250 milioni di euro.

La complessa operazione ha portato alla luce le rilevanti attività economiche dell’organizzazione mafiosa facente capo al clan dei Galatolo, legate al locale Mercato ortofrutticolo ed al suo indotto. Gli investigatori della Dia sono riusciti a risalire alle infiltrazioni di Cosa nostra nelle attività del mercato, sia direttamente che attraverso alcuni prestanome vista anche la grande influenza della famiglia mafiosa dell’Acquasanta all’interno del mercato stesso.

Le attività economiche erano riconducibili, direttamente e indirettamente, ad Angelo Ingrassia, 57 anni, Giuseppe Ingrassia, 57 anni, Pietro La Fata, 81 anni, Carmelo Vallecchia, 74 anni e Giuseppe Vallecchia, 53 anni. I cinque palermitani sono ritenuti vicini e contigui a Cosa nostra, in particolare alla famiglia mafiosa dei Galatolo,

Agli indagati, in base ad altre indagini condotte dalla magistratura di Napoli e che vedono coinvolto anche un fratello di Totò Riina, Gaetano di 79 anni, viene anche contestato, tra l’altro, di controllare il trasporto su gomma da e per i mercati ortofrutticoli di Fondi, Aversa, Parete, Trentola Ducenta e Giugliano e da questi verso quelli del Sud Italia, interessando, in particolare, i mercati siciliani di Palermo, Catania, Vittoria (RG), Gela (CL) e Marsala (TP).

Nello specifico delle attività del mercato ortofrutticolo di Palermo, i cinque titolari di vari stand all’interno del mercato ortofrutticolo, profondi conoscitori del “metodo di funzionamento” dello stesso, monopolizzavano l’attività del mercato palermitano anche attraverso l’utilizzo dei servizi forniti dalla Cooperativa “Carovana Santa Rosalia” (compravendita di merce, facchinaggio, parcheggio, trasporto e vendita di cassette di legno e materiale di imballaggio).

Nel corso dell’indagine sono stati raccolti elementi che hanno indotto a ritenere l’esistenza, all’interno del mercato ortofrutticolo palermitano di una regia occulta, in grado di: “prestabilire” il prezzo dei beni posti in vendita, cui gli operatori del settore dovevano uniformarsi; controllare il trasporto su gomma da e per la Sicilia occidentale ed i principali mercati di approvvigionamento delle derrate alimentari, ubicati in centro Italia; “gestire” le attività connesse al commercio svolto all’interno del mercato stesso, ad opera di Cosa nostra.

In tal senso, le convergenti dichiarazioni rese da numerosi collaboratori di giustizia hanno evidenziato il totale controllo da parte di “cosa nostra” di un importante settore economico locale, provocando da un lato una grave distorsione del mercato ed eliminando, di fatto, qualsiasi forma di concorrenza con la conseguente imposizione dei prezzi, garantendo all’organizzazione criminale, la possibilità di conseguire ingenti guadagni attraverso attività solo apparentemente lecite.

La forza intimidatrice esercitata da Cosa nostra si manifestava attraverso l’imposizione dei prezzi e delle forniture. L’inquinamento del tessuto economico, avvenuto mediante l’immissione di denaro di sicura provenienza illecita, non si è limitato all’acquisizione di attività commerciali “lecite”, ma ha “occupato” interi settori del terziario, strettamente legati alle attività di vendita dei prodotti ortofrutticoli all’interno del locale mercato.

Tutto ciò ha provocato una grave e profonda alterazione di tale tessuto economico che, privo delle regole proprie di un libero mercato, risulta fortemente condizionato da Cosa nostra.

Ai riscontri sulle convergenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, la complessa attività svolta dalla Dia ha fatto emergere una totale sperequazione tra i redditi dichiarati dai soggetti ed i beni posseduti dagli stessi.

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