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Daria Bignardi rompe il silenzio: “Mio suocero non è un assassino”

Dopo dieci giorni di silenzio, Daria Bignardi ha deciso di dire la sua sulle vicende che hanno coinvolta lei, il suo lavoro alle Invasioni Barbariche e suo marito.

Ecco il testo integrale del post che è stato pubblicato su VanityFair:

La scorsa settimana sono stata mio malgrado al centro dell’attenzione per via di un’intervista delle Invasioni Barbariche. Al centro dell’attenzione è un eufemismo per dire che ho ricevuto da simpatizzanti del Movimento 5 Stelle – e continuo a ricevere – una dose massiccia di insulti, sessisti e no, in Rete, e attacchi da alcuni giornali. In prima pagina su tre quotidiani diversi per tre giorni di seguito, un record per me: neanche quando feci lo scherzo del cane al presidente del Consiglio Monti o diedi dell’antipatico all’allora ministro Brunetta.

Dopo le prime centinaia di parolacce ho smesso di guardare Twitter e Facebook per una settimana, e degli articoli del Fatto, Libero e il Giornale ho letto solo i titoli e qualche passaggio. Non lo faccio per senso di superiorità o per freddezza, meglio specificarlo, ma solo per proteggermi. Ovviamente rimango male a leggere cose piene di pregiudizi e livore, spesso false, anche se ne capisco i meccanismi e so che non parlano di me, ma di chi li scrive: cerco di difendermi non leggendo e non rispondendo, aspettando che passi. So bene che rispondendo darei (e darò anche con questo articolo) nuova benzina al fuoco eccitato di quelli che hanno pagine da riempire e nemici – secondo loro – da combattere. Ancora non ho ben capito perché da anni questi giornali – sempre gli stessi – mi attacchino a ogni occasione, ma avranno i loro motivi. Penso che non ce l’abbiano veramente con me, a parte un paio di personaggi un po’ fissati, ma con quello che ai loro occhi, non conoscendomi, rappresento. Solite tristi faccende tribali, all’italiana.

Non posso negare che quel che è accaduto mi abbia fatto dispiacere. Non fa piacere a nessuno venire insultati e travisati, e non ho mai condiviso la filosofia del «purché se ne parli». Di solito non rispondo pubblicamente a critiche, attacchi e censure, e ne ho ricevute. Ci sono però alcune cose che vorrei dire ai lettori non prevenuti o partigiani. Certe cose vanno spiegate, per non farle passare per vere, anche se so benissimo che è una lotta contro i mulini a vento. Molto spesso le notizie, già nate distorte, passano di media in media senza che nessuno si dia la briga di andare a verificarle, e a volte arrivano al lettore o all’ascoltatore totalmente distorte, come in un telefono senza fili impazzito.

In questo caso, basterebbe guardare l’intervista all’onorevole Di Battista del M5S per capire che era una buona intervista, dove tra l’altro lui aveva fatto una buona figura, e che i responsabili della sua comunicazione avrebbero dovuto esserne contenti.

Per me in una buona intervista lo spettatore conosce un po’ più a fondo la persona con cui parlo, attraverso le sue idee ma anche dettagli della sua vita, e ne intuisce la personalità e il profilo. Non sempre ci riesco, ma provo sempre a far emergere un lato meno conosciuto di chi intervisto, magari discutendo di cose di famiglia con un politico o di politica con un’attrice, oppure attraverso la distonia, l’uscita dai binari. Parlano tante cose, in un’intervista televisiva: gli sguardi, i gesti, il tono della voce.

Subito prima dell’inizio del programma mi avevano portato un’agenzia che riferiva di una vecchia intervista, appena rimandata in onda alla trasmissione di Giuseppe Cruciani su Radio 24, nella quale il padre di Di Battista diceva di essere orgoglioso di essere fascista, di sentirsi un camerata e di sfilare in camicia nera. Subito mi sono chiesta: “Chissà che cosa pensa l’onorevole Di Battista delle idee di suo padre, chissà come le vive”. Ho deciso quindi che verso la fine del nostro incontro gli avrei chiesto se quell’intervista radiofonica lo avesse messo in imbarazzo.

Di Battista ha risposto, molto bene, che era comunque orgoglioso di suo padre. È sembrato più turbato quando gli ho domandato del suo passato di catechista, e il suo turbamento ha avuto un effetto comico che lo ha reso ancora più umano che all’inizio dell’incontro, quando tendeva a ripetere slogan o argomenti già sentiti altrove. Penso spassionatamente che Di Battista abbia fatto una buona figura nel mio programma. Non giudico le sue idee e i suoi modi: a me interessa raccontare le persone. Le persone sono storie.

Non ho mai pensato di essere scorretta ponendo quella domanda sul padre proprio a ragione del fatto che anche io, come ho scritto nel mio primo libro Non vi lascerò orfani, un libro letto da molte persone, ho raccontato di aver avuto un padre fascista che amavo moltissimo. Un padre morto trent’anni fa, quando ero una ragazza. Io sono molto più grande dell’onorevole Di Battista e mio padre quest’anno compirebbe cento anni, era del 1914: quindi era stato fascista come quasi tutti quelli della sua generazione, e conservava bei ricordi della sua giovinezza.

Confesso di non aver rivisto l’intervista all’onorevole Di Battista: non sopporto di rivedermi e non lo faccio mai, quindi non ricordo le parole esatte che gli ho detto ma ne conosco bene le intenzioni, che erano il sapere se quell’intervista lo avesse messo in difficoltà, e se le idee di suo padre gli avessero mai creato problemi.

Alla malafede di quelli che hanno voluto vedere in quella domanda un attacco – gli stessi che poi rimproverano ai giornalisti di non fare le domande – non c’è rimedio, se non la buonafede. La mia è totale. Anche il fatto che l’intervistato successivo fosse Corrado Augias è stato un caso, la sua intervista era fissata da mesi, vivendo lui a Parigi, mentre quella al politico era stata decisa pochi giorni prima. Mica potevo mettere qualcuno tra Augias e il politico nel timore che il primo criticasse il secondo: questa sì sarebbe censura. E poi confesso di non averci nemmeno pensato, anche perché avevo invitato Augias per parlare del suo libro sulla Madonna.

Ma sia la mia domanda sia la vicinanza all’intervista di Corrado Augias – che ha detto quel che gli pareva, e ci mancherebbe che non potesse farlo – sono state viste dai dietrologi come un complotto contro il politico (una settimana dopo è successa la stessa cosa e Severgnini ha detto cose molto più severe su Casini che lo aveva preceduto: ma naturalmente nessuno ha detto che non avrebbe dovuto).

Quanto alle cose che ha scritto sul blog di Beppe Grillo Rocco Casalino, confesso che mi hanno fatto provare dispiacere per lui perché, oltre a non avere capito che l’intervista che aveva organizzato aveva funzionato, ha dimostrato di non sapere nulla della vicenda che citava, come tanti italiani del resto.

Non mi ferisce leggere che mio suocero sarebbe un assassino perché non lo è. Sono orgogliosa di avere come nonno dei miei figli un uomo che ha ingiustamente subito una condanna a 22 anni di carcere per qualcosa che non ha commesso, e che è sempre rimasto – nonostante le ingiustizie e tutto quel che di terribile ha subito – la persona straordinaria che è. Questo è quel che è successo, che ho pensato e che provo, per chi è interessato a saperlo.

Redazione

Si24 è un quotidiano online di cronaca, analisi, opinione e approfondimento, fondato nel 2013 e con sede a Palermo. Il direttore responsabile ed editore è Maria Pia Ferlazzo.

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