Si ritorna a parlare della vicenda dei quattro termovalorizzatori che avrebbero dovuto risolvere il problema rifiuti in Sicilia, progetto voluto durante la presidenza Cuffaro e poi revocati dalla giunta Lombardo.
Secondo gli analisti della società di revisione Ernst & Young al termine di un audit commissionato da Gea (il colosso tedesco quotato in Borsa che avrebbe dovuto fornire chiavi in mano, con l’italiana Pianimpianti, tre dei quattro maxi-inceneritori) sarebbero state pagate mazzette per 38 milioni nell’ambito dei progetti per la costruzione dei termovalorizzatori che avrebbero dovuto produrre energia bruciando rifiuti.
Nella relazione, come riporta il Sole24Ore on line, gli esperti di Ernst & Young scrivono che sarebbero emersi “indizi che fanno presumere che un valore pari a 38 milioni di euro non abbia diretta correlazione con le commesse; che tale importo sia entrato a far parte delle commesse per effetto di sovrafatturazioni; che le transazioni per l’importo sopra citato siano state realizzate attraverso Pianimpianti e Lurgi; che le persone coinvolte sono state oggetto di indagini penali in Italia e in Germania per accuse di corruzione e che hanno fornito informazioni incomplete e contraddittorie sui fatti”.
Il giro di presunte tangenti è finito al centro di una inchiesta della Procura di Bolzano, coordinata da Guido Rispoli. Il pm si trovò a indagare sulla tedesca Lurgi (subholding interamente posseduta da Gea) la cui controllata Lentjes aveva il 20% di Pianimpianti, poi ridotto all’8,23 per cento. Il pm scoprì che la Lurgi aveva pagato tangenti per aggiudicarsi il termovalorizzatore di Colleferro, in provincia di Roma, e che era invischiata in altre attività corruttive per la realizzazione di analoghi impianti in diverse zone d’Italia. Gli atti furono inviati a Palermo, ma l’indagine non decollò.
La gara per i termovalorizzatori fu indetta nell’agosto 2002 dall’ex governatore Totò Cuffaro, nella veste di commissario delegato per l’emergenza rifiuti, e aggiudicata nel 2003 a quattro società consortili: Tifeo, Platani e Pea, controllate dal gruppo Falck-Actelios attraverso Elettroambiente, e Sicil Power, controllata da Daneco e Waste Italia. Il progetto si arenò nel luglio 2007, quando la Corte di Lussemburgo annullò i bandi per violazione delle norme europee. Dopo due anni i bandi furono riscritti dall’Agenzia regionale per i rifiuti e le acque (Arra), gestita da Felice Crosta. L’asta andò deserta per una clausola che imponeva al vincitore l’implicito risarcimento dell’aggiudicatario precedente. A quel punto l’ex governatore Raffaele Lombardo, subentrato al dimissionario Cuffaro coinvolto nell’inchiesta per mafia, abbandonò definitivamente il progetto.
L’affare dei termovalorizzatori siciliani ha originato un intreccio di ricorsi e contenziosi e un’indagine della Procura della Repubblica di Palermo. La magistratura palermitana si è mossa sulla base di un dossier che nel 2008 fu trasmesso da Guido Rispoli, oggi procuratore di Bolzano. Indagando sulle operazioni della società tedesca Lurgi attorno al termovalorizzatore di Colleferro (Roma), Rispoli aveva individuato tracce di attività di corruzione per gli impianti progettati in Sicilia.
L’inchiesta si è sviluppata lungo due direttrici: la presenza di interessi mafiosi, riscontrata, e la distribuzione di mazzette. Il fronte dell’indagine sulle presunte corruzioni è coordinato dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci che si occupa di reati contro la pubblica amministrazione. Sono state controllate le posizioni di vari soggetti, sono state delegate indagini bancarie ma al momento non ci sono indagati. Ha trovato invece riscontro la segnalazione di Roberto Scarpinato, oggi procuratore generale, che alla Commissione sulle ecomafie parlò di una cordata di politici, imprenditori, mafiosi e professionisti per gli appalti della discarica di Bellolampo. Il contesto è stato ricostruito attraverso indagini mirate.
Più complesso il contenzioso scaturito dalla gara per Bellolampo prima annullata, poi di nuovo bandita e vinta da un consorzio di imprese che fanno capo alla Falck. La stessa Falck ha fatto ricorso contestando un onere improprio: il giudizio è in fase di appello dopo una sentenza negativa del Tar. Altri giudizi non ancora definiti riguardano altri aspetti del contenzioso amministrativo.