Ventuno componenti Pd in commissione Affari costituzionali alla Camera. La truppa più nutrita nella commissione che dà ufficialmente il via all’esame del ddl di riforma della legge elettorale, partorita nel testo base dall’accordo siglato a Largo del Nazareno da Matteo Renzi e da Silvio Berlusconi. Una truppa che però non assicura al suo segretario alcuna certezza. Anzi.
A nulla rischiano di essere serviti i moniti, in alcuni casi le minacce, e gli ultimatum del sindaco di Firenze rivolti ai “suoi” ripetutamente dopo la direzione nazionale del partito che ha sancito il benestare del Parlamentino Dem all’ipotesi di riforma. “Abbiamo votato – 111 voti a favore del ddl (doppio turno di coalizione, soglie di sbarramento al 5% per l’ingresso dei partiti in solitaria, 8% per quelli coalizzati e premio di maggioranza ai raggruppamenti che raggiungano il 35% delle preferenze) contro 34 astenuti – è il mantra che il segretario nazionale del Pd e le divisioni si consumano al nostro interno”.
Ma la corrente bersaniana del partito democratico non ha mai retto il gioco a Renzi. Anzi. Ha subito annunciato che la battaglia sarà trasparente e a volto scoperto. E la riunione di ieri sera alla Camera, durata cinque ore, ha visto prevalere la corrente degli ‘emendamentisti’ al testo. Tanto più se si considera che fra i 21 componenti democratici della commissione solo 7 sono di provata fede renziana, compresa Maria Elena Boschi, della segreteria nazionale, che ha dovuto faticare non poco per mediare fra le parti e portare in commissione un pacchetto di emendamenti che non snaturasse del tutto la proposta del suo segretario.
Il risultato non è brillante. Negli emendamenti Pd al ddl di riforma sono diversi i distinguo al testo originario. Si va dall’abbassamento della soglia di sbarramento per partiti e coalizioni, all’innalzamento della soglia di attribuzione del premio di maggioranza che si propone di far passare al 38% – se non il 40 come propone in un altro emendamento distinto e separato il partito di Scelta Civica -. Ma è soprattutto nella reintroduzione del voto di preferenze il rischio di spaccatura all’interno del Pd. Un emendamento va in questa direzione, tanto che Roberto Giachetti, il parlamentare che sulla riforma elettorale lontana dal dibattito politico almeno fino all’avvento di Renzi, ha organizzato e mantenuto un lungo sciopero della fame, ha pubblicato su youtube un collage di video in cui in tempi non recentissimi Luciano Violante, Pierluigi Bersani e Anna Finocchiaro spiegavano i motivi che li mantenevano saldamente lontani dalla reintroduzioni delle preferenze.
Una guerra aperta, insomma, nel Pd alle prese anche con piccole alchimie tecniche che dimostrano quanto rischioso sia il cammino della legge di riforma. Fra gli emendamenti dem, infatti, solo uno è stato sottoscritto da tutti i 21 componenti Pd alla commissione Affari costituzionali, ovvero quello che delega al governo il disegno dei collegi e delle circoscrizioni evitando che sia il Parlamento a ripartire geograficamente i collegi.
C’è poi anche l’emendamento, firmato dal deputato siciliano e neo candidato alla segreteria regionale, Giuseppe Lauricella, che rinvia alla riforma del Senato l’entrata in vigore della legge elettorale. Una sorta di blindatura del governo Letta viste anche le continue e mai sopite tensioni che oppongono il premier al segretario Renzi. Oltre che una risposta diretta alle parole del capogruppo alla Camera di Forza Italia, Renato Brunetta che ieri provocatoriamente aveva detto: “Le pistole cariche sparano” facendo riferimento diretto all’opzione del voto subito dopo il varo della legge.
E lo scontro in commissione rischia di essere acerbo: Forza Italia e Berlusconi, dal canto loro, di cedere il passo sul tema delle preferenze, caldeggiato anche da Ncd di Angelino Alfano, non hanno alcuna intenzione. Mentre si fa sempre più concreto e trasversale l’aggiustamento del testo nella parte che garantisce la parità di genere e di rappresentanza nelle liste. Non basta indicare genericamente un obbligo di presenza del 50% di candidate donne nella composizione delle liste, bisognerà anche imporre un’alternanza di genere nelle liste bloccate così da piazzare in posizione utile all’elezione anche le candidate donna. E su questo sia Dem che Scelta civica che con la sua segretaria Stefania Giannini da giorni ripete che si tratta di una falsa riforma, possono avere i numeri per far passare la correzione.
Sarà battaglia anche sulle candidature multiple che garantiscono i big dei piccoli partiti in grado di racimolare voti in più collegi senza il rischio di restare “trombati” in uno solo. “Non mi ci immolo – ha dichiarato Renzi, aprendo alla possibilità di una revisione della parte del testo che le vietava – ma il Pd non farà mai candidature multiple”.