Via la Cancellieri e la De Girolamo. Rischia anche la Kyenge insieme a Zanonato e Giovannini, colpevole di aver criticato apertamente il Job Act di Renzi e che cerca di correre ai ripari proponendo la formula del prestito d’onore per garantirsi la pensione. Il Letta bis, un governo nuovo di zecca o il reshuffling ovvero il rimescolamento delle deleghe all’interno dell’esecutivo guidato dal premier, è una prospettiva ormai concreta. Alle porte, addirittura.
Alle porte, nel senso che entro la settimana Enrico Letta dovrà chiudere il cerchio e dar fiato alle pressioni che dalla maggioranza – e con insistenza dopo gli scandali che hanno colpito alcuni ministri (prima la Cancellieri alla Giustizia e ora la De Girolamo all’Agricoltura) – gli arrivano addosso per riequilibrare la rappresentanza delle forze parlamentari che lo sostengono.
I primi a chiedere spazi sono stati i montiani di Scelta civica che nella composizione del governo, in quota ad un gruppo unico che si è sciolto nell’acido delle polemiche nel corso della legislatura corrente, si sono visti attribuire i ministeri della Pubblica Amministrazione, col siciliano Gianpiero D’Alia, e quello alla Difesa con Mario Mauro, attribuibile adesso esclusivamente ai Popolari per l’Italia di Casini.
Nel frattempo la corazzata Renzi avanzava con il sistema della botta al governo e della rassicurazione successiva al premier che lo guida. Adesso che il segretario nazionale del Pd ha incassato con la forza dei numeri la sigla dell’accordo per le riforme elettorale e del Bicameralismo dal leader di Forza Italia e con essa ha costretto a seguirli anche il Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano, che tratterà sulle soglie di sbarramento imposte dalla bozza di riforma (8% per i partiti che si coalizzino e 5% per quelli che corrono da soli), la partita a scacchi si fa più interessante e per certi versi più oscura.
Renzi non ha intenzione di sostituirsi ai bersaniani presenti nell’esecutivo con un obiettivo che non dichiara: sporcarsi le mani in un Letta bis indicando uomini riconoscibili del suo entourage significherebbe per il sindaco di Firenze dover affrontare personalmente le critiche che giungeranno al governo nell’ultimo suo anno di mandato prima del ritorno al voto, che sembra ormai destinato a slittare nel 2015. Renzi, invece, vuole il suo governo uscendo vittorioso dalle urne battezzate col suo sistema Italicum.
E nel frattempo il segretario nazionale del Pd intende frantumare, dall’interno, un partito democratico dove vivono isolate riserve di oppositori critici del corso del rottamatore. Che oggi incassa il primo risultato di questa pianificata strategia: le dimissioni del presidente Pd, Gianni Cuperlo dopo lo scontro sulle preferenze.
Allora la mossa potrebbe essere quella del rimescolamento delle carte: dare peso all’unico renziano dichiarato del governo Letta, il ministro per gli affari regionali, Graziano Delrio, detto Gandalf, ascetico personaggio della trilogia di Tolkien, l’unico – pare – in grado di influenzare il segretario Pd e attribuirgli un ministero che abbia portafoglio. E così si parla di lui al ministero dello Sviluppo Economico più ancora che alla poltrona di vicepremier che Alfano potrebbe lasciare – per occuparsi più da vicino del partito che deve crescere – ad un rappresentante dei piccoli partiti per riequilibrare la rappresentanza senza attribuire ministeri di peso ai partitini della coalizione.
A Nuovo centrodestra potrebbe essere chiesto un “sacrificio” lasciando scoperta una casella come il ministero dell’Agricoltura che la De Girolamo sembra destinata ad abbandonare. Il rimescolamento, comunque, è in corso e il presidente del Consiglio che chiede a Renzi di essere coerente fino in fondo e di indicare “i nomi di chi deve entrare”, potrebbe dar vita al nuovo governo entro il 29 di gennaio quando in aula è calendarizzato l’avvio della discussione sulla riforma elettorale.