Mette la ‘fiducia’ al suo “pacchetto” ma in fondo Matteo Renzi non ne ha proprio bisogno. Nel Parlamentino dei Democrat convocato per votare i termini dell’accordo per la riforma elettorale siglato sabato scorso con il cavaliere Berlusconi, gli interventi che si susseguono – a parte quello di Gianni Cuperlo – sono una serie inarrestabile di consensi alla proposta di riforma del sindaco di Firenze, pur con qualche distinguo o sottolineatura di criticità.
Soprattutto nella parte che difende il segretario nazionale del Pd dalla scelta di aver affrontato personalmente con Silvio Berlusconi questi temi di riforma. Alla direzione nazionale del Partito democratico pure l’ex sindaco di Roma ed ex segretario Pd, Walter Veltroni ha preso la parola: “Il metodo è quello giusto, quando gli altri non l’hanno fatto sono stati disastri” ha detto riferendosi al confronto Renzi-Cav.
Prima di lui lo avevano fatto un altro ex della segreteria Pd, Piero Fassino e il ministro, Dario Franceschini. Tutti a rintuzzare le critiche della minoranza bersaniana che accusa Renzi di aver riabilitato il cavaliere decaduto.
A blindare la maggioranza della direzione attorno al sindaco di Firenze è stata soprattutto la proposta del doppio turno di coalizione ovvero il ritorno alle urne col sistema del ballottaggio nel caso non si superi la soglia del 35% evitando cioè il ripetersi del risultato elettorale dello scorso febbraio che ha imposto il governo delle larghe intese.
Nella sua replica, dopo tre ore e mezzo di confronto del parlamentino democratico, Renzi ha così potuto alzare il tiro: “Il confronto serve a crescere e non mi fanno paura né scandalo le divisioni interne – ha detto il segretario nazionale del Pd per poi sottolineare – Deve essere chiaro che questo è il luogo in cui si discute e si decide ma dopo il voto si sostiene tutti la linea che si è assunta”. E Renzi, quindi, non detta solo la linea ma anche la tempistica. Prevede, anzi impone, che entro febbraio la proposta di legge possa essere approvata dalla Camera in prima lettura per arrivare al voto finale entro maggio.
Non manca nemmeno, Matteo Renzi, di bacchettare i colleghi che nei loro interventi si sono limitati a criticare la parte dell’accordo con il cavaliere relativa alla riforma elettorale tralasciando invece le altre proposte, l’abolizione del Senato con la creazione della Camera delle Autonomie e la riforma del titolo V.
E nella sua replica il segretario del Pd si gode, con largo anticipo, la sconfitta dell’ala dei bersaniani centrando in pieno l’orgoglio di Gianni Cuperlo e con lui rivolgendosi a tutti i deputati “nominati” di questa legislatura: “Gianni te lo dico con amicizia, questo tuo riferimento alle primarie e alle preferenze lo avrei voluto sentire la volta scorsa, quando tu e altri siete stati candidati nel listino. E’ inaccattabile che preferenze e primarie siano usate in modo strumentale adesso”.
Un attacco frontale che ha spinto addirittura il presidente del Pd, praticamente pochi minuti prima del voto, a lasciare la seduta. La votazione alla relazione di Renzi, con l’allegato della proposta di riforma elettorale, di abolizione del Senato e di riforma del Titolo V della Costituzione, è immediatamente successiva. E Renzi suggella il suo successo personale con 111 voti favorevoli e 34 astenuti.