Confermata dalla Cassazione, dopo una precedente assoluzione in appello, la condanna a due anni e sei mesi di reclusione per violenza sessuale, seppure nell’ipotesi di minore gravità, a carico di un pastore siciliano di Caltagirone, Mario C., che al rientro dal pascolo e dalle attività di accudimento delle pecore imponeva alla moglie, Lucia G., rapporti sessuali senza “praticare alcuna igiene e pulizia del proprio corpo” come gli chiedeva, inutilmente, la consorte che desiderava che l’uomo si facesse almeno una doccia.
In primo grado, il pastore, classe 1960, era stato condannato per violenza sessuale dal Tribunale nel novembre del 2007, ma successivamente la Corte di Appello di Catania, nel 2008, gli aveva alleggerito la condanna sostenendo che i rapporti sessuali, nonostante l’uomo immobilizzasse la moglie bloccandole le mani, erano da ritenere comunque “consumati consensualmente” dal momento che la donna “rifiutava i rapporti sessuali solo per la scarsa igiene del marito” ma vi “avrebbe consentito se lo stesso si fosse previamente lavato”.
Per le ulteriori imputazioni di maltrattamento ai danni della moglie, l’uomo era stato condannato, per effetto della riduzione di pena, a due anni, due mesi e dieci giorni di reclusione. Su ricorso della Procura, la Cassazione rinviò nuovamente a giudizio il pastore per violenza sessuale facendo presente che “la peculiarità dei motivi di dissenso non eliminava il dissenso medesimo, per cui i rapporti sessuali, laddove imposti con la forza dall’uomo, erano e restavano violenti”. Nell’appello bis, i giudici di merito hanno seguito le indicazioni degli ermellini affermando che la circostanza che la moglie sarebbe stata d’accordo a fare sesso con suo marito se solo quest’ultimo si fosse lavato, “non elimina la violenza del rapporto sessuale”.
Il reato di violenza sessuale infatti sussiste, ricorda la Suprema Corte nella sentenza 980 della Quarta sezione penale ripercorrendo il verdetto dell’appello bis, “in tutti i casi in cui i rapporti sessuali vengano in qualsiasi modo imposti, essendo del tutto irrilevanti le modalità ed i mezzi utilizzati e le motivazioni che avessero indotto la parte offesa a rifiutare non un astratto rapporto sessuale con il marito, ma il rapporto sessuale da questi preteso (e poi imposto) senza che avesse praticato quella igiene che la donna riteneva indispensabile dato il lavoro svolto dal marito”. Così il ricorso del pastore è stato dichiarato inammissibile con tanto di condanna anche al pagamento di mille euro alla Cassa delle ammende.