Sta per pubblicare il suo secondo libro, il detenuto Totò Cuffaro. Dopo “Il candore delle cornacchie“, l’ex presidente della Regione Sicilia, dal 2011 in carcere a Rebibbia dove sta scontando la condanna per favoreggiamento e rivelazioni di segreto d’ufficio, dedica la sua nuova opera a Marco Pannella “strenuo lottatore per i diritti dei detenuti”.
Dopo tre anni di reclusione, Cuffaro in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera dichiara di aver cambiato prospettiva su diverse cose. “Da qui dico che un po’ mi vergogno per certe leggi che ho votato come senatore – confessa – perché, in nome della sicurezza, abbiamo varato norme troppo restrittive, e peggiorative della situazione di tutti i detenuti. E questo non è giusto. Perché, come ho scritto nel libro, il carcere non è solo luogo di corpi, ma di anime. Ecco perché l’indulto chiesto dal presidente Napolitano sarebbe auspicabile, vista la situazione attuale di sovraffollamento”.
In carcere, Cuffaro si occupa dei ricorsi e delle istanze dei suoi compagni di reclusione: “Qui c’è gente straordinaria, di grandissima umanità. Non si può considerare il carcere solo come un luogo a perdere, dove abbandonare le persone. non è giusto per loro, e nemmeno per la società”.
Alla fine dell’anno scorso, Totò Cuffaro, al momento primo e unico parlamentare finito in carcere per fatti di mafia, sperava di uscire grazie all’affidamento in prova dei servizi sociali, ma i giudici hanno detto di no, perché non ha collaborato con la magistratura. “Io non ho ancora capito cosa potrei dire – afferma Cuffaro – visto che non sono l’anello di una catena di condannati. Mi ero illuso. Vorrà dire che avrò il tempo di laurearmi in Giurisprudenza e di scrivere un terzo libro”.
Ha scelto di rispettare la sua sentenza l’ex governatore e di riconoscere i suoi sbagli: “Ho commesso degli errori, anche se non tutti quelli per cui sono stato condannato. Io sono andato a sbattere contro la mafia. Ho sbagliato a coltivare certe frequentazioni, a fidarmi di certe persone. Ho sbagliato, oggi sarei molto più attento e guardingo”. E ribadisce: “Io non ho avuto rapporti con Cosa nostra, ci sono andato a sbattere, e in Sicilia può capitare. Io non volevo certo aiutare la mafia, come non credo che lo volesse il mio amico Mannino, già assolto una volta dopo tanto carcere preventivo e oggi sotto processo per la trattativa”.
Cuffaro tre anni si presentò spontaneamente in caserma, subito dopo le dimissioni da senatore. Il paragone con Silvio Berlusconi è inevitabile: “Credo che avrebbe dovuto comportarsi diversamente e adesso dovrebbe scontare la pena in carcere senza chiedere l’affidamento in prova né altro. La sua immagine ne guadagnerebbe, e sarebbe la reazione più efficace a chi ha voluto condannarlo”.