I carabinieri di Milano hanno eseguito dieci ordinanze di custodia cautelare nei confronti di altrettanti presunti componenti del gruppo criminale Barbaro-Papalia. Dalle indagini è emerso che il gruppo controllava i servizi di sicurezza di alcuni noti locali milanesi e che fosse responsabile di una serie di estorsioni. Le discoteche milanesi coinvolte sono: i “Magazzini Generali“, il “Codice a barre“, il “De Sade” e il “Borgo dei sensi” (ex Parco delle rose).
Locali della movida milanese, per i quali l’imprenditore Silvano Scalmana, che gestiva la società a cui facevano capo, aveva chiesto “una mano” alla cosca calabrese. L’indagine della Procura di Milano è partita da un processo per bancarotta fraudolenta a carico di Silvano Scalmana, al quale i boss “avevano offerto anche la protezione dalla giustizi”, come ha commentato il pm Paolo Storari nel corso della conferenza stampa alla presenza di carabinieri e Guardia di finanza.
“I quatto dipendenti della società di Scalmana hanno fornito al curatore fallimentare chiare dichiarazioni accusatorie nei confronti dell’imprenditore, ma poi sono stati avvicinati dai boss che li hanno minacciati di ritorsioni in caso avessero raccontato le stesse cose in tribunale. E infatti – continua Storari – davanti al magistrato hanno tutti ritrattato le loro affermazioni”.
Le indagini della Dda di Milano avrebbero accertato che la security e i servizi di bodyguard dei locali erano del tutto sotto il controllo degli uomini della ‘ndrangheta. Secondo i pm, i boss avrebbero fornito “agli imprenditori servizi di sicurezza attraverso forme di cosiddetta estorsione – protezione, dove il rischio per l’imprenditore deriva dallo stesso soggetto (appartenente alla ‘ndrangheta) che fornisce la protezione”. Ma non solo. Sempre secondo l’accusa, i membri della cosca si occupavano “del recupero crediti derivanti da attività lecite e illecite avvalendosi della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo e pertanto con modalità estorsive”.
“Il concetto di infiltrazione della ‘ndrangheta nel tessuto produttivo del Nord, ormai, non rende l’idea del fenomeno – ha affermato il pm Storari – perché sembra presupporre una malattia che aggredisce un corpo sano. Qui, invece, in quasi tutte le indagini, ho visto sempre l’imprenditoria milanese che si rivolge per prima alla ‘ndrangheta, e non viceversa”. Imprenditori come Silvano Scalmana, titolare di numerose discoteche milanesi, che nel 2012 si mette in contatto di sua spontanea volontà con la cosca per ottenere protezione e di fatto – secondo quanto emerge dalle indagini – acquista dal clan Barbaro-Palia un “pacchetto completo di servizi”, che non includono solo la vigilanza sui suoi locali, ma anche la capacità d’intimidazione: quando qualche mese dopo Scalmana sarà coinvolto in un’ordinaria procedura fallimentare, gli ‘ndranghetisti si metteranno a disposizione per convincere i teste a ritrattare le dichiarazioni rese alla magistratura in precedenza. Agli uomini della cosca basta presentarsi con il loro spessore criminale e – senza bisogno di esercitare la violenza – ottenevano dai testimoni un cambiamento di 360 gradi delle loro deposizioni.
Personaggio principale dell’inchiesta è Agostino Catanzariti, arrestato per associazione mafiosa quale capo e organizzatore. Tra gli arrestati anche Flavio Scarcella che avrebbe chiesto e ottenuto “l’intervento di Catanzariti Saverio (anche lui finito in carcere, ndr) per mediare con la famiglia mafiosa Flachi ed in particolare con Flachi Enrico, per la gestione della sicurezza alla interno della discoteca De Sade”. Un ruolo di capo lo avrebbe rivestito Antonio Papalia, sovraintendendo “alla attività di spaccio di stupefacente nel territorio di Corsico – Buccinasco, manifestando il suo ruolo di vertice non maneggiando mai la sostanza stupefacente”. Tra i destinatari del provvedimento restrittivo ci sono anche Michele Grillo, Halil Abderrahim, Giuseppe Massari, Giuseppe Mesiti, Natale Trimboli, Antonio Virgara.
L’inchiesta sta permettendo anche di risolvere l’omicidio di Giuseppe De Rosa, un nomade ucciso nel 1976 alla discoteca “Skylab”, un assassinio che – secondo quanto si legge nell’ordinanza – rappresenta “una sorta di pietra miliare nell’affermazione della ‘ndrangheta di Plati’ al nord”. La ricostruzione degli investigatori punta il dito contro il boss Rocco Papalia, che avrebbe ucciso il nomade – ex di una donna calabrese – per affermare davanti a tutta la mala di Milano che i nuovi arrivati dal meridione erano degni del massimo rispetto.
I Barbaro-Papalia si nascondono anche dietro l’omicidio del brigadiere dei carabinieri Antonio Marino, ucciso durante una festa patronale a Bovalino (nella Locride) nel 1990: le indagini milanesi hanno infatti stabilito che il carabiniere, ex comandante della stazione di Platì, continuava con le sue indagini a infastidire il clan. Le attività più recenti della cosca, oltre al racket e ai “servizi” offerti alle imprese, comprendono ovviamente anche il traffico di stupefacenti, concentrato soprattutto nelle zone di Buccinasco, Trezzano sul Naviglio e Corsico, dove l’egemonia dei Barbaro-Papalia sembra indiscussa. I proventi venivano distribuiti anche per garantire tutti i confort alle famiglie dei tre boss Rocco, Antonio e Domenico Papalia, da tempo dietro le sbarre.